Ancona-Osimo

Reddito di cittadinanza, l’economista Gallegati: «Principio alla base giusto, critica la ricerca del lavoro»

Mentre prendono corpo nella manovra 2022 le modifiche al reddito di cittadinanza, l'economista della Politecnica delle Marche ci dà una sua riflessione su questo strumento di sostegno al reddito

L'esterno del centro per l'Impiego di Pesaro

ANCONA – «Il reddito di cittadinanza? Il principio alla base è giusto, l’aspetto critico riguarda la ricerca del lavoro». A parlare è il professor Mauro Gallegati, docente di Economia all’Università Politecnica delle Marche, allievo di Giorgio Fuà ed Hyman Minsky, e visiting professor in diverse università, tra le quali Stanford, Mit e Columbia.

Mauro Gallegati
Laudatio del professor Mauro Gallegati

Mentre prendono corpo nella manovra 2022 le modifiche al reddito di cittadinanza, che vedrà una verifica mensile ai centri per l’impiego e l’obbligo di accettare la seconda offerta di lavoro, pena la decadenza del beneficio, l’economista osserva che «garantire un sostegno economico a chi non lavora è un principio giusto: in molte imprese le macchine hanno sostituito il lavoro umano, era necessario che lo Stato intervenisse, perché tutti gli essere umani hanno diritto ad un reddito minimo».

L’inghippo si crea nello spezzone della misura relativo alla ricerca del lavoro. «Dire a una persone ti do un reddito ma ti cerco un lavoro è una visione di neoliberista. Nel mondo del lavoro le persone vengono assunte solo se c’è una prospettiva di guadagno, altrimenti non vengono contrattualizzate. Se non c’è domanda non si può trovare occupazione».

L’economista a tal riguardo cita il caso emblematico dei lavoratori del calzaturiero del Fermano. Un distretto in crisi profonda per la competizione dei mercati stranieri a prezzi più concorrenziali. «Finché le persone acquistavano le calzature prodotte in quel distretto a sud delle Marche c’era lavoro, adesso si trovano scarpe a prezzi più bassi, prodotte in India e le calzature del Fermano non hanno più mercato».

Le imprese, osserva, «non possono pagare gli operai come i lavoratori indiani, allora devono pensate a riconvertirsi su altri settori, altri prodotti, per i quali c’è richiesta. Piuttosto che ridurre i salari ai lavoratori o ridurre il numero dei dipendenti – conclude – le imprese devono investire sul cambiamento».

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