Ancona-Osimo

Omicidio di Jesi, l’associazione Serenamente: «Noi famiglie di malati psichici siamo abbandonate»

L'associazione, che raggruppa un centinaio di famiglie che hanno persone malate di disturbi psichiatrici, pone l'accento sulla necessità di intervenire per dare risposte a questi individui in difficoltà. Ecco cosa è emerso

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Foto di StockSnap da Pixabay

ANCONA – Abbattute, rassegnate e abbandonate a se stesse. Si sentono così oggi la maggior parte delle famiglie dei malati psichiatrici in Italia. Dopo che la Legge Basaglia il 13 maggio 1978 aveva rivoluzionato il mondo della psichiatria italiana, portando alla chiusura dei 76 ospedali psichiatrici esistenti sul territorio nazionale, da allora è come se la questione si fosse avvitata su stessa. Oggi questi malati gravano quasi esclusivamente sulle famiglie, sempre più provate, stanche e sotto pressione.

Ma a mancare sono anche e soprattutto le risposte verso i malati lasciati alla mercé dei loro disturbi in una società che tende ad isolarli e stigmatizzarli per il timore del diverso.
La condizione di malato mentale è tutt’oggi gravata da un’aura pesante, frutto di scarsa conoscenza e di paure ancestrali provenienti da un passato lontano nel quale i folli non erano ancora stati incasellati in una categoria della medicina.

Situazioni pesanti che passano spesso in sordina e che interessano magari il nostro vicino di casa senza che chi gli vive accanto possa avere il reale polso e la dimensione di questa sofferenza, né tanto meno la coscienza della gravità della patologia. Un po’ come forse è accaduto a Jesi, dove un 25enne del posto affetto da problemi psichiatrici all’alba di venerdì 3 luglio è entrato nell’abitazione di vicini e dopo aver sfondando una delle finestre dell’appartamento in via Saveri ha afferrato un vetro con il quale ha aggredito Fiorella Scarponi, la donna 69enne che ha ucciso sgozzandola per poi aggredire il marito ferendolo gravemente.

Una tragedia che ha scosso l’intera comunità marchigiana e che fa tornare alla ribalta il tema del trattamento psichiatrico e della presa in carico. Il ragazzo era seguito da un professionista privato e l’anno scorso aveva subito un ricovero per i problemi psichici che lo affliggevano. Ma poi era tornato a casa. E qualcosa evidentemente non ha funzionato perché la situazione è esplosa nei giorni scorsi nel tragico epilogo.

Al di là del caso specifico, sul quale faranno luce le indagini dei carabinieri, resta l’amarezza per una tragedia che forse poteva essere evitata e che accende i riflettori sulla condizione di questi malati e delle loro famiglie costrette a restare chiuse in casa per accudire i loro familiari in una girandola di miglioramenti e regressioni spesso imprevedibili e sulle quali il lockdown avrà sicuramente inferto un colpo di grazia.

Ma qual’è la situazione sul territorio? Oggi sono i centri di salute mentale delle Aree Vaste a farsi carico del trattamento di questi malati, accanto a queste ci sono i centri diurni che cercano di “lavorare” su questi malati coinvolgendoli in attività e dando fiato nel contempo alle loro famiglie. Per i casi più gravi ci sono invece le strutture residenziali ma sono poche e ci sono carenze croniche di personale dovute ai tagli nella sanità.

Insomma, malattia mentale fa purtroppo spesso rima con affare di famiglia. «Ci sono situazioni molto difficili e anche se alcuni casi riusciamo a seguirli altri si perdono per strada» spiega Maria Luisa Gazzelli, coordinatrice dell’associazione Serenamente e membro della consulta regionale sulla salute mentale. L’associazione con sede a Falconara Marittima (An), raccoglie un centinaio di famiglie di pazienti psichiatrici residenti nell’Ambito Sociale Territoriale 12 che racchiude 7 Comuni: Falconara Marittima (ente capofila), Agugliano, Polverigi, Chiaravalle, Monte San Vito, Montemarciano, Camerata Picena.

«Alcuni malati avrebbero bisogno di essere ricoverati nelle strutture, ma nelle Marche queste sono poche – prosegue -, le famiglie si sentono abbandonate e i genitori spesso si vergognano perché c’è ancora un grande stigma sociale».
Ma la coordinatrice di Serenamente pone l’accento anche sull’assenza della prevenzione: «Le case famiglie che dovevano essere realizzate per questi malati sono finite nel dimenticatoio a causa dei tagli operati nella sanità. Inoltre i servizi sul territorio scarseggiano, e c’è una carenza cronica di personale. Nelle Marche, oltretutto, non essendo stato nominato un assessore alla sanità la psichiatria è lasciata a se stessa».
Per Maria Luisa Gazzelli, assistente sociale in pensione, servirebbero maggiori investimenti in questo settore anche in termini di prevenzione.

«Un tempo – ricorda – andavamo nelle scuole dove gli insegnanti ci segnalavano i casi di bambini e ragazzi che mostravano dei problemi: già alla materna e alle elementari possono manifestarsi dei segnali che se raccolti e presi per tempo possono avere esiti diversi. Oggi i giovani a 13 anni bevono e fumano spinelli, comportamenti che possono sfociare in disturbi».
La coordinatrice dell’associazione invoca la realizzazione di piccole strutture residenziali per dare risposte a questi casi in modo che possano essere seguiti adeguatamente, ma «ognuno di questi malati costa al servizio sanitario oltre 4mila euro al mese» un costo gravoso che forse potrebbe spiegare l’esiguo numero di strutture di questo genere.

«Le famiglie soffrono, stanno malissimo, per loro è molto pesante -, la Regione deve prendere in mano la salute mentale, attuare iniziative di prevenzione e puntare sulla realizzazione di strutture residenziali. Servono servizi adeguati sul territorio, ma occorre anche personale: mancano assistenti sociali, domiciliari e psicologi».
Secondo Maria Luisa Gazzelli andrebbero sostenute anche le associazioni che svolgoNO un importante ruolo di raccordo tra famiglie e istituzioni, sostenendo queste situazioni con importanti iniziative.

«Alcune Regioni – conclude – si sono attivate per prendere in mano queste situazioni, come ad esempio l’Emilia Romagna e il Friuli Venezia Giulia, è ora che anche le Marche lo facciano».
La coordinatrice dell’associazione, riferendosi al caso di Michael Santarelli, osserva che oggi la situazione del ragazzo è compromessa dopo essersi macchiato di omicidio, ma «se fosse stato ricoverato in una struttura residenziale l’epilogo poteva essere diverso».

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