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Mutilazioni genitali femminili, la ginecologa Toschi: «Sembra un tema lontano ma tra Marche e Umbria vedo diversi casi»

La ginecologa dell'Aied di Ascoli Piceno, nella Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili che ricorre oggi, racconta un fenomeno meno lontano di quanto si possa pensare

Foto interna adobe stock

ANCONA – «Sembra un tema lontano dalle nostre latitudini, ma molte ragazze africane ad esempio nigeriane che vivono nel nostro Paese sono state vittime di mutilazioni genitali femminili (MGF) e anche nel mio lavoro nelle Marche o Umbria ne vedo diverse». A parlare è Marina Toschi, ginecologa dell’Aied di Ascoli Piceno, nella Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili ed i matrimoni precoci/forzati, che ricorre oggi 6 febbraio.

Una pratica cruenta e brutale, la mutilazione genitale femminile-MGF, eseguita in genere su ragazze fin dai primi mesi di vita o anche più avanti in adolescenza, spesso con una lametta e senza anestetico, o in ospedale al fine di modificare i genitali femminili. Viene praticata in circa 30 Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, ma anche in alcuni Paesi dell’Asia e dell’America Latina come per i bambini maschi la circoncisione.

Nonostante sia una procedura illegale anche in molti Paesi africani e riconosciuta a livello internazionale come una violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze, viene ancora eseguita e nel mondo sono oltre 200 milioni le donne e le ragazze vittime di mutilazione genitale, in Europa si stima che siano circa 600mila.

Perché queste mutilazioni? «Per ragioni sociali e culturali – spiega -, che vogliono stabilire da subito la profonda disuguaglianza esistente tra uomo e donna, la discriminazione della donna e la non accettazione della sua sessualità». Quindi sono una violazione del diritto alla salute, all’integrità fisica, a non subire tortura e trattamenti inumani, crudeli e degradanti, oltre che del diritto alla vita, in quanto questa pratica può arrivare a causare anche la morte della donna.

Tra le conseguenze per le ragazze e le donne vittime di questa barbarie, specie se in forme più severe (MGFIII), ci sono difficoltà a urinare, cisti, infezioni, infertilità, problemi psicologici, diminuzione del piacere sessuale, complicazioni durante il parto e maggior rischio di decessi neonatali, specie per le MGF più gravi, dette faraoniche.

La ginecologa, attiva nella difesa dei diritti delle donne tra Marche e Umbria, racconta di aver visto negli Consultori diversi casi di donne e ragazze con mutilazioni genitali e di aver rilasciato solo nel 2020, circa 30 certificazioni. «Una buona metà tra le giovani ragazze nigeriane che vengono in visita presentano mutilazioni genitali femminili – osserva -. Molte scappano dalla Nigeria per non essere circoncise magari per la seconda volta o perché hanno visto qualcuna prima di loro morire dissanguata dopo questa pratica. Purtroppo vediamo tante storie come queste».

La dottoressa Toschi spiega che si tratta di una procedura che oltre a non rispettare i diritti umani, a volte non rispetta neanche le più comuni regole igienico-sanitarie, ma ora spesso si vede che è stata eseguita con maestria e minima invasività (MGF tipo1 o 2). La legge italiana punisce chi esegue questa procedura per ragioni non mediche con la reclusione da quattro a dodici anni, pena aumentata di 1/3 se la mutilazione viene compiuta su una minorenne e nei casi in cui viene eseguita per fini di lucro.

«Queste donne – spiega – devono sapere che con un certificato medico che attesti le MGF possono accedere alla protezione umanitaria e avere più chance nel fare domanda di asilo per restare nel nostro Paese. Le mutilazioni genitali femminili vengono infatti, secondo la Convenzione di Istambul, considerate come una violenza fisica o psicologica, come atto rivolto contro un determinato genere o contro i bambini, che consente di accedere allo status di rifugiato. I pediatri devono spiegare che eseguirla sulle bambine anche in Africa è un reato».

«Non è una pratica legata alla religione mussulmana che se mai richiede la depilazione completa dei genitali -precisa -, ma un’usanza molto antica con cui in molti Paesi come l’Egitto si vuole fin dall’infanzia assoggettare la donna». Secondo la ginecologa però va detto che anche per le donne italiane esistono «modelli invadenti la femminilità, come la pratica della depilazione totale del pube, un ‘obbligo culturale‘ prevalente per le ragazze al pari della magrezza. E anche questa mania di depilarsi è causa di patologie pubiche come follicoliti ed ascessi. Bisognerebbe buttare le lamette».

Secondo la dottoressa Toschi «è proprio nella Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili
che occorre dire basta a queste procedure e a questi modelli invadenti la nostra femminilità che ogni persona deve poter vivere come vuole».

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