Ancona-Osimo

Una mattina con gli operatori della Mensa del Povero di Ancona

L'organizzazione è attiva nel capoluogo regionale da ben 84 anni. Sui visi si legge la tristezza, la solitudine, la vergogna, «ma c’è anche gratitudine», assicura suor Settimia

Mensa del povero di Ancona
I bisognosi in fila al tendone di via Flaminia

ANCONA – Ottantaquattro anni al fianco degli ultimi, dei poveri, dei disperati. La mensa del povero di Padre Guido serve pasti caldi ai bisognosi dal lontano 1938. Al secondo piano di una palazzina in un vicolo del centro di Ancona si cucina senza sosta.

Non ci sono ferie né domeniche, qui: mangiare è un’esigenza quotidiana. Le pause non esistono e non ci si riposa, perché non si può. A pranzo la mensa di corso Mazzini serve, in media, almeno 100 pasti al giorno. Al tendone di via Flaminia, invece, se ne servono circa 40.

Dora, storica volontaria, mostra i pasti

Il tendone della stazione – al civico 52 di via Flaminia – è stato realizzato dopo la pandemia, il 23 dicembre 2020. Il freddo era alle porte e non si poteva più servire usando l’asporto. È infatti dal 2019 che il servizio è cambiato. Tutta colpa del covid che ha ucciso la socialità.

Non ci si siede più ai tavoli della mensa di corso Mazzini – in via Padre Guido – ma in fila si aspetta il proprio turno. Si entra, si ringrazia e si esce con un sacchetto tra le mani. In coda, tra gli ultimi, si fanno discorsi di ogni tipo. Qualcuno scherza sulla comodità del cartone su cui ha passato la notte.

Sui visi si legge la tristezza, la solitudine, la vergogna, «ma c’è anche gratitudine», assicura suor Settimia, madre superiora. È lei a coordinare la squadra di volontari che sin dalle prime ore del mattino accende i fornelli per cuocere qualsiasi cosa, dalla pasta al riso.  

Tra le più anziane, suor Pia e la storica volontaria Dora, ci sono anche dei giovani, come Thomas, che dà una mano nel portare giù dei grossi contenitori. Contenitori che finiranno nel doblò dell’associazione. Con questo mezzo, ogni mattina, due operatori partono alla volta della stazione.

Noi saliamo con loro. Non c’è posto nel furgone, troppe arance da portare, troppe monoporzioni di pasta per sfamare gli invisibili. Così ci mettiamo nel bagagliaio…

È Luciano a guidare il furgoncino: sono le 11.30 e la fila, in corso Mazzini, è già lunga. Con il doblò si procede a zig zag fino in fondo al corso vecchio. Poi si imbocca piazza della Repubblica e via verso la stazione, passando da via XXIX Settembre.

In una manciata di minuti si arriva: Luciano svolta a sinistra e suona il clacson. Fabio, della Caritas, ci apre il cancello. Parcheggiamo il furgone e scendiamo, si scaricano i contenitori neri. Qui si suda ogni giorno. Le prime persone cominciano a mettersi in fila, mentre Dora sistema i viveri.

Oggi – come primo piatto – pasta col sugo in rosso. Per secondo, cotoletta. Chiaramente, in fila, c’è anche chi non mangia carne: per loro verrà servita la mozzarella, con dell’insalata. Arance, acqua e succhi di frutta per tutti.

Si entra dopo essersi sottoposti al controllo della temperatura, perché la pandemia da covid c’è ancora. E purtroppo anche quella della solitudine.

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