Ancona-Osimo

Settimana lavorativa corta, Ferracuti della Cisl: «Da sperimentare nelle Marche. I dipendenti sarebbero più felici e produttivi»

Il segretario regionale della Cisl spiega che la riduzione dell'orario lavorativo a fronte della stessa retribuzione favorisce l'occupabilità e garantisce una produzione di maggiore qualità. Ecco perché

ANCONA – Quattro giorni pagati come 5. Sembra quasi un sogno, ma è la formula che stanno sperimentando alcune aziende che hanno deciso di adottare la cosiddetta settimana lavorativa corta. Nel dettaglio non c’è un’unica modalità: c’è chi passa da 40 a 32 ore alla settimana, con l’impegno di mantenere gli stessi livelli di produttività o il raggiungimento di determinati obiettivi.

«La settimana corta è un nostro cavallo di battaglia – dice Marco Ferracuti, segretario regionale Cisl Marche -; da anni sosteniamo la necessità di ridurre l’orario di lavoro per favorire una maggiore occupabilità e produttività. Certo – aggiunge – è una questione complessa che va rimessa alla contrattazione aziendale».

Secondo il sindacalista la settimana corta non può essere calata dall’alto tramite una legge, ma «va valutata azienda per azienda». «Andrebbero individuate un centinaio di imprese a livello nazionale, anche nelle Marche, in cui sperimentare questo modello in quelle realtà in cui c’è capacità di flessibilità propensione organizzativa e capacità produttiva».

Ferracuti spiega: «Proprio nei giorni scorsi abbiamo avuto un incontro con Cgil e Uil, insieme al nuovo presidente di Confindustria Marche, ci siamo lasciati con l’impegno di rivederci per trattare di volta in volta temi specifici e la settimana corta è uno dei temi che vorremmo mettere sul tavolo».

Per il sindacalista è cruciale anche favorire il dialogo tra lavoratori e imprese, tramite una partecipazione dei dipendenti nei Cda e nei comitati di indirizzo, perché confronto e partecipazione «non si limitino alle fasi di difficoltà, ma anche a quelle espansive. E anche la settimana corta deve essere un tema affrontato con i lavoratori».

Quanto ritiene sia possibile attuare la settimana lavorativa corta in un sistema economico come quello marchigiano costituito per la maggior parte da piccole imprese a carattere familiare? «Effettivamente le Marche sono la regione italiana a maggiore vocazione manifatturiera: se in Italia gli addetti in questo settore sono il 21%, ovvero circa 1 su 5, nelle Marche gli addetti al manifatturiero sono il 36%, quasi 4 su 5. Dobbiamo fare i conti con questo tipo di realtà, per questo chiediamo alle imprese di collaborare in filiera. Sul tema ci stiamo confrontando con l’assessore regionale Andrea Maria Antonini (deleghe economiche, ndr) per l’utilizzo dei 524 milioni di fondi europei a disposizione in questo settennato per lo sviluppo (Fesr): quello che chiediamo è di alzare l’asticella, spingendo le imprese a collaborare su progetti in filiera e proprio in questi bandi si potrebbe prevedere un maggior punteggio per le imprese che adottano la settimana corta».

Secondo Ferracuti in linea generale «non c’è un modello unico da adottare, ma va valutato caso per caso in base alle caratteristiche delle imprese. La raccomandazione è l’apertura verso le novità, senza resistenza al cambiamento. La chiave di volta resta la contrattazione aziendale e la formazione. In ogni caso occorre capire che un lavoratore che ha tempo anche per le proprie passioni è più felice e anche più produttivo, per cui la settimana corta può spingere una manifattura di maggior qualità».

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