Ancona-Osimo

I collettivi femministi sull’aborto: «Non deve essere Chiara Ferragni ad accendere una luce. Diritto di scelta e salute una priorità»

Non Una di Meno Transterritoriale Marche e Liberə Tuttə intervengono sulla polemica relativa all'aborto aperta da Ferragni e danno una strigliata ai politici sia di destra che di sinistra

Ascoli, protesta in difesa della legge 194

ANCONA – «La polarizzazione» del «dibattito sull’obiezione di coscienza nelle Marche in questo periodo di campagna elettorale» è «pura retorica, utile più alla caccia al voto che al portare avanti una progettualità e un’autocritica che non faccia scivolare il diritto all’aborto verso una china reazionaria pericolosissima, che finirà alla lunga per renderlo totalmente inaccessibile». Lo sostengono le reti e i collettivi femministi marchigiani che intervengono sul tema sollevato da Chiara Ferragni nella storia su Instagram in cui l’influencer ha affermato che «Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni».

Secondo i movimenti, Non Una di Meno Transterritoriale Marche e Liberə Tuttə, «che da anni si occupano (dalla prima linea) di supportare e accompagnare le persone gestanti nella scelta di abortire», affermano che «i partiti sia a destra che a sinistra stanno prendendo parola sull’Ivg» (interruzione volontaria di gravidanza, ndr) «da una parte, per ridimensionare i dati sull’obiezione di coscienza, che nelle Marche arriva fino al 100% in due ospedali Fermo e Jesi ed oscilla intorno al 70% in tutta la regione, dall’altra per darsi reciprocamente addosso in un gioco di colpe e responsabilità che vuole “la pagliuzza” sempre nell’occhio dell’altr* e mai nel proprio».

Occorre «uscire dalla dinamica capitalistica per cui una influencer, in forza del suo bacino di followers, ha più peso rispetto a chi veramente si occupa di assistere, fornire informazioni e accompagnarle laddove venga richiesto – aggiungono -. Per questo abbiamo preso parola. Perché chi sta sui territori e si occupa di Ivg, nei fatti così come nella riflessione socio-politica e culturale, lo sa che non bastano 5 secondi di una stories a risolvere il problema dell’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza in Italia. Non dovrebbe essere Chiara Ferragni ad accendere una luce sulla questione, perché non è lei che ha il potere per cambiare le cose».

Secondo le reti e i collettivi femministi, «ciò che ostacola» l’applicazione della Legge 194, che regola l’aborto, «sono diversi passaggi critici come la settimana di ripensamento, l’obiezione di coscienza ormai dilagante in ogni ospedale d’Italia, la mancata formazione di personale non obiettore, il personale sanitario che usa l’obiezione di coscienza pur non essendo incluso nello specifico nel testo di legge. Sarebbe necessario rileggere la 194 alla luce dei suoi limiti, comprendendo anche che se una norma tutela il diritto di obiezione più di quello all’autodeterminazione delle persone allora c’è qualcosa non va».

Non Una di Meno Transterritoriale Marche e Liberə Tuttə evidenziano che «molte sono le lacune della politica istituzionale in materia, che ha perso il filo del discorso deresponsabilizzandosi in ottica gestionale trasformando la questione della salute pubblica in una tematica sempre più burocratico-ammnistrativa e sempre meno di coscienza sociale. Il collante di raccordo tra istituzioni e sanità è saltato in forza alle esternalizzazioni – affermano – . Aumentano sempre di più i consultori in mano ad associazioni pro-life che si aggiudicano presidi sanitari (che dovrebbero essere) laici. Le istituzioni appaiono disinteressate – se non per ritorno di immagine – ai diritti riproduttivi, non investono e la salute sessuale diventa un capitolo di spesa da tagliare andando di pari passo con i diritti di scelta sulla salute».

Secondo i movimenti femministi, «le Marche non sono da meno, il diritto di aborto ha passato due governi che hanno lasciato una situazione già fortemente compromessa ad un’altra governance che ideologicamente ha colto la palla al balzo non applicando le linee di indirizzo del Ministero della salute emanate ad agosto 2020. La giunta a guida FdI, all’epoca appena insediata, da subito ha dichiarato la sua ferma opposizione all’aborto dapprima con le dichiarazioni a dicembre 2020 dell’Assessora Giorgia Latini contraria alla pillola abortiva la Ru486, fu poi Carlo Ciccioli», nel «gennaio 2021, quando in Consiglio Regionale fu presentata dal Pd una mozione per somministrare la pillola Ruu486 al di fuori degli ospedali (come indicato dalle linee guida del Ministero della Salute) a commentare la richiesta con una esternazione» da «fare accapponare la pelle» in cui collegò aborto e denatalità al rischio di «sostituzione etnica» ricordano i movimenti femministi secondo i quali «stesso discorso fatto Giorgia Meloni, lo sorso martedì 23 settembre, dal palco della campagna elettorale in piazza Roma ad Ancona».

Non Una di Meno Transterritoriale Marche e e Liberə Tuttə, si tratta di «retorica fascistoide per governare e reprimere i corpi». «Se il diritto all’aborto prima era un percorso ad ostacoli ora, lo abbiamo detto, la situazione è solo peggiorata. Quello che pretendiamo è che i partiti prendano posizioni nette in merito alla questione, in particolare quelli che tengono al bavero i gagliardetti della lotta per i diritti. Perché è facile non promuovere politiche fattuali, ignorando chi le battaglie le combatte sul campo, per poi agitare lo spauracchio della regressione fascio-patriarcale in campagna elettorale. Il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, il diritto alla scelta autodeterminata e libera, devono essere una priorità. Non può e non deve essere di nuovo sepolto in fondo alla lista delle cose da fare, soprattutto quando rischiamo di tornare agli aborti clandestini e alle grucce. Questo si è un pericolo imminente a cui noi attivist* femminist* ci opporremo, tessendo reti di mutuo aiuto dal basso come abbiamo sempre fatto».

«Le persone gestanti – proseguono – continueranno ad abortire e noi faremo tutto quanto in nostro potere per garantirlo. Così come abbiamo fatto in pieno lockdown e con qualsiasi colore e sfumatura di governo perché il diritto all’aborto va aldilà delle bandiere politiche, è una battaglia di civiltà e di classe. L’aborto deve essere garantito, gratuito e sicuro indipendentemente dal ceto e da qualsiasi provenienza, ce lo hanno insegnato le battaglie per l’aborto in Argentina, ce lo hanno insegnato i racconti non così remoti delle nostre nonne. Non c’è stato un momento nella storia del mondo in cui donne e persone gestanti non hanno fatto ricorso all’aborto, quello che cambia è solo il rischio di perdere la vita nel processo, e perché questo non torni ad accadere noi continueremo a lottare», per questo l’appello è: «Giù le mani dai nostri corpi. Aborto legal ya».

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