Ancona-Osimo

L’importanza di ricordare. Il 25 aprile con lo storico Giacomini

Ruggero Giacomini è uno dei grandi conoscitori della storia della Resistenza nelle Marche. La sua intervista, una riflessione tra passato e presente alla ricerca di maggiore consapevolezza e critica

Festa della LIberazione

Con l’avvicinarsi dell’estate la primavera si riempie di celebrazioni laiche e non, divise fra la Pasqua, il 1° maggio e il 25 aprile. E proprio la Festa della Liberazione che quest’anno cadrà di martedì è un evento da ricordare più che mai in questo periodo. Una situazione internazionale che non fa stare nessuno completamente tranquillo ci ammonisce a ricordare quanto sia importante stare lontani dagli orrori della guerra e di quanto costi cara la sua fine. Per questo si festeggia e si ricorda: perché non riaccada.

Mercoledì 19 aprile si è svolto presso l’Anpi di Ancona un incontro in merito alla Liberazione in cui è intervenuto lo storico Ruggero Giacomini, uno dei grandi conoscitori della storia della Resistenza nelle Marche.

Giacomini, quanto hanno contato le piccole realtà nella Grande Guerra?
«Credo che la domanda si riferisca alla seconda guerra mondiale. Mentre nella prima infatti si combatté essenzialmente sulle frontiere alpine e furono coinvolti gli uomini in armi, nella seconda i fronti furono mobili e il paese tutto fu coinvolto, in particolare le popolazioni civili. Cominciò con l’occupazione tedesca dopo l’8 settembre 1943, che aveva lo scopo di sfruttare a fondo le risorse che l’Italia poteva fornire per la prosecuzione della guerra: produzione industriale e agricola, e braccia da lavoro per le imprese in Germania. Per ottenere questo, con la collaborazione del governo fantoccio di Salò si praticò largamente il terrore, e anche le Marche furono funestate da molte stragi. Seguirono i bombardamenti anglo-americani, scarsamente produttivi per gli esiti della guerra ma terribilmente distruttivi in termini di vite umane e beni. Basti ricordare il bombardamento di Ancona del 1 novembre ’43. Infine, con l’avanzata e il passaggio del fronte,  la popolazione delle campagne e dei piccoli centri si trovò spesso esposta tra due fuochi, prima della sospirata liberazione».

Che ruolo hanno avuto le Marche?
«La regione si trovò ad essere retrovia del fronte, per cui dal punto di vista militare divenne essenziale per gli occupanti tedeschi controllare le vie di comunicazione e governare il territorio, debellando il movimento partigiano. Il quale era stato tra i primi a organizzarsi in Italia, tanto che la brigata “Garibaldi- Marche” fu la quinta a essere costituita (dopo Friuli, Biella, Piacenza e Cuneo). Per annientare il movimento partigiano i comandi tedeschi impiegarono una formazione del controspionaggio militare specializzata proprio per la controguerriglia, il II battaglione della divisione “Brandenburg”, al cui seguito operava anche un battaglione di militi fascisti che avevano giurato fedeltà a Hitler, il battaglione “M”- “”IX Settembre”. A questi si devono le più efferate stragi nazifasciste perpetrate nelle Marche, tra cui quella di Montalto di Cessapalombo del 23 marzo ’44, e quasi certamente anche quella del 20 giugno a Jesi. Nonostante il terrore, tuttavia, e il sistematico uso delle spie, il movimento partigiano seppe resistere e riorganizzarsi, superare le difficoltà ed essere protagonista con i Comitati di liberazione della vittoria, precedendo in molti casi gli Alleati e consentendo l’insediamento nei centri via via liberati di amministrazioni democratiche nominate dai Comitati di liberazione».

Se dovesse scegliere tre valori, quali sarebbero i più rappresentativi per descrivere la Resistenza?

«La libertà, l’indipendenza nazionale e la pace. Riconquistare la libertà dopo vent’anni di fascismo era l’aspirazione condivisa delle forze antifasciste che avevano dovuto  subire persecuzioni, carcere, confino, esilio. Il movimento popolare, che nelle fabbriche, nelle campagne e sulle montagne sostenne la resistenza era portatore di una visione della libertà che comprendeva come essenziale la liberazione dal bisogno, e dunque la sicurezza  e la dignità del lavoro. Questo fu incluso nella Costituzione, ma è ancora da attuare. Così l’indipendenza dal giogo tedesco  non venne perseguita certo per finire sotto altri gioghi. La Costituzione per altro consente all’art. 11 “limitazioni di sovranità”, ma a due condizioni: che siano  reciproche (“in condizioni di parità con gli altri Stati”) e “necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.  Un patto che consente  a una potenza straniera di tenere depositi di armi nucleari in Italia per poterne disporre a piacimento non sembra proprio che risponda a questi requisiti.  E anche il “ripudio della guerra” per la soluzione delle controversie internazionali pare dimenticato».

Chi sono i veri eroi della Resistenza ? La Storia ha capito chi sono veramente ?
«Eroi, nel senso di protagonisti che misero in ballo la propria vita furono uomini e donne di ogni condizione; e tra essi tante persone semplici, operai e contadini, di cui poco la storia effettivamente si occupa.  Ad uno di questi dimenticati, Zeno Rocchi di Sarnano, operaio artigiano autodidatta, che fu il capo politico della Resistenza nell’alto Maceratese, è dedicato il mio ultimo libro uscito in questi giorni, “La lotta per la libertà e il dovere della memoria”, edito da Affinità elettive».

La celebrazione della Resistenza è considerata in maniera adeguata in Italia? Oppure è sottovalutata?

«Festeggiare le ricorrenze principali come il 25 Aprile e ricordare i fatti della Resistenza è opportuno e utile per tenere viva e tramandare la memoria dei sacrifici che furono fatti anche per le attuali generazioni. In ciò l’Anpi svolge un ruolo prezioso e insostituibile. Va considerato tuttavia che il fascismo non è solo un fenomeno del passato, consegnato alla storia, ma un pericolo di oggi. Ci sono in Europa movimenti, alcuni dei quali non si fanno scrupolo di inalberare la svastica, protetti talvolta come in certi paesi dell’est dalla stessa Unione europea, i quali si alimentano della crisi economica e fomentano false vie d’uscita, fondate sul razzismo e sulla guerra. Movimenti alimentati anche dall’illusione, che sembra pervadere la maggiore potenza militare del globo, di poter affermare ovunque la propria volontà e i propri interessi con le bombe e con la guerra. Gravi pericoli incombono, che richiederebbero maggiore consapevolezza e una critica e mobilitazione che mancano. Servirebbe davvero una nuova Resistenza».

 

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