Ancona-Osimo

Hiv, la Cassazione su Pinti: «Colpevole, aveva l’obbligo di informare la partner della propria sieropositività»

Con un dispositivo di 27 pagine la suprema Corte motiva così la sentenza del 15 dicembre scorso per l’auto trasportatore di Montecarotto

Claudio Pinti

ANCONA – A quattro anni dal suo arresto (era giugno 2018) e con tre sentenze che lo hanno condannato a 16 anni e 8 mesi di carcere per lesioni gravissime e omicidio volontario arrivano le motivazioni della Corte di Cassazione per Claudio Pinti.

«L’infezione Hiv, inguaribile e potenzialmente letale se non trattata, conseguì ai rapporti sessuali non protetti. La morte della Gorini fu quindi conseguenza di tali rapporti sessuali che produssero l’infezione che, a sua volta, determinò l’insorgere di una patologia Aids definente, risultata letale. Il nesso di casualità tra rapporti sessuali non protetti e la morte della Gorini è oggettivo. C’era un obbligo per Pinti di impedire l’evento informando la partner della propria sieropositività». Con un dispositivo di 27 pagine la suprema Corte spiega così la sentenza del 15 dicembre scorso, quella con cui venne rigettato il ricorso del 38enne di Montecarotto accusato di aver contagiato con l’Hiv la sua ex compagna Gorini e poi la fidanzata Romina Scaloni, nascondendo ad entrambe di essere sieropositivo dal 2009. A cinque mesi dalla conferma della condanna a 16 anni e 8 mesi di carcere per l’imputato, per lesioni gravi e omicidio volontario, sono uscite in questi giorni le motivazioni dei giudici per l’ultimo grado di giudizio che hanno ritenuto «corretta» la sentenza di secondo grado e al quale la difesa dell’imputato, l’avvocato Massimo Rao Camemi, era poi ricorsa in Cassazione. Diversi erano stati i punti che avevano portato l’imputato a rivolgersi alla prima sezione penale della corte suprema presieduta dalla giudice Angela Tardio e relativa solo al giudizio per l’accusa di omicidio volontario nei confronti della ex compagna poi deceduta a giugno del 2017 per una patologia legata all’Hiv. Si contestava la violazione di norme processuali, come il fatto di non essere stato tradotto in aula ai tempi del primo grado di giudizio fino al diniego delle attenuanti generiche. Il punto cardine era la contestazione dell’omicidio volontario per la morte di Giovanna Gorini anziché omicidio colposo. Per la Cassazione però se Giovanna «non fosse stata infettata dal virus dell’Hiv non avrebbe contratto il linfoma che ne provocò la morte».

Il fatto che la donna interruppe le cure, anche su pressione di Pinti, «non interrompe il nesso casuale tra la condotta di Pinti che aveva provocato l’infezione da Hiv alla Gorini e la morte della donna». Per la Cassazione si deve «escludere che il rifiuto delle terapie sia causa da sola a determinare la morte». 

Il caso emerse a maggio del 2018 dopo la denuncia presentata da Romina Scaloni alla polizia perché aveva scoperto di essere rimasta contagiata da Pinti che le aveva nascosto di essere sieropositivo e aveva avuto con lei rapporti sessuali non protetti. L’imputato attualmente è in carcere a Rebibbia, dal 2019 ha iniziato le cure antiretrovirali per l’Hiv, e valuterà se fare ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

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