Ancona-Osimo

La guerra raccontata ai più piccoli, la psicologa: «Si dialoghi filtrando»

I consigli della presidente dell'Ordine degli psicologi delle Marche, Katia Marilungo, per parlare coi propri figli della guerra: «Usare parole filtrate. La scuola affronta già questi temi»

Foto di kirill_makarov- Adobe Stock

ANCONA – Una guerra (quasi nucleare) dopo due anni e mezzo di covid. L’ennesima tegola per tutti. La notizia dell’invasione russa nel territorio ucraino è arrivata quasi 10 giorni fa, nei giorni in cui il Governo italiano annunciava la sua propensione nel non voler prorogare lo stato d’emergenza.

Peccato che ora di stato d’emergenza ve n’è un altro, quello per aiutare i popoli ucraini sotto i bombardamenti.

Televisioni, siti web e giornali scrivono e mostrano costantemente notizie e immagini di quanto avviene a pochi chilometri di distanza da noi, nell’est Europa. Scene di carri armati in fila tra i palazzi o di giovani russi catturati dagli ucraini che si commuovono parlando con i propri genitori.

Il presidente dell’Opm Katia Marilungo (foto di repertorio)

I bambini italiani, come quelli di tutto il resto del mondo, assistono (impotenti) agli eventi. Abbiamo quindi chiesto alla dottoressa Katia Marilungo, presidente dell’Ordine degli psicologi delle Marche, in che modo gli adulti possano raccontare il conflitto ai più piccoli.

«Anzitutto, va detto che queste tematiche vengono affrontate da tempo nei contesti scolastici. Maestri e docenti – spiega Marilungo – stanno sensibilizzando i giovani a quanto accade nella nostra società».

«Temi, questi, che provocano paura angosciando i più piccoli, la maggior parte dei quali non ha ancora visto da vicino una guerra. Però, i ragazzi, delle guerre, sentono già parlare nel loro percorso di studi e non solo».

Prosegue la psicologa: «Consiglio di tenere sempre aperto un dialogo su questi argomenti. Affrontare in modo concreto la vicenda, con un linguaggio adeguato e appropriato al bambino. Ecco, per intenderci, no al bombardamento mediatico da televisione, dove spesso ci sono immagini crude».

Chiaramente, ogni situazione familiare è a sé stante e non esiste la ricetta perfetta per parlare di guerra, ma il consiglio di Marilungo è quello di «usare, a seconda dei contesti e della sensibilità della famiglia (e dei bambini), un linguaggio filtrato in base a quelle che sono realmente le capacità ricettive».

Logo e schermata di Telegram
Logo e schermata di Telegram (foto d’archivio)

Poi, ci sono i telefoni, i gruppi Whatsapp e Telegram, dove spesso circolano immagini crude. In Ucraina – ad esempio – è stato aperto un canale Telegram dove si postano foto e video di soldati russi – catturati vivi o caduti al fronte –. L’obiettivo – dicono gli ucraini – è quello di consentire alle famiglie dei soldati russi di recuperare le salme dei propri cari.

Tuttavia, paradossalmente, quelle immagini potrebbero divenire accessibili a tutti, visto che vengono divulgate nel web. E persino i più piccoli potrebbero ritrovarsi di fronte a una divisa insanguinata e ad un corpo esamine: «Se i bambini entrano in contatto col telefono, torniamo ai soliti discorsi, quelli che, cioè, facciamo anche per la pornografia».

«I genitori, qualora decidessero di dare in mano ai piccoli un telefono o un tablet, devono stare in guardia. Non controllare, ma essere partecipi coi più piccoli. Condividere è la parola più appropriata. Insomma – spiega Marilungo – vi ricordate quando negli anni ’80 i genitori seguivano i figli per sapere dove fossimo noi figli? Ecco, dovrebbe accadere così pure per il web».   

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