Ancona-Osimo

Economia, Marche terra di imprese “antiche”. Il professor Iacobucci: «La scommessa? Investire per creare sviluppo futuro e non assistenzialismo»

Il docente di Economia Applicata dell'UnivPm, Donato Iacobucci, parla della vivacità imprenditoriale marchigiana sottolineando la necessità di rafforzare e innovare le pmi

ANCONA – «C’è bisogno di elevare la capacità di innovazione delle imprese con competenze specifiche e attitudini capaci di suggerire nuove soluzioni. Lo vediamo continuamente con le tecnologie informatiche: per molte imprese lo scoglio non è la tecnologia in sé, ma i cambiamenti organizzativi e le competenze necessarie ad utilizzarla in modo efficace». Lo sostiene il professor Donato Iacobucci, docente di Economia Applicata presso il Dipartimento di Ingegneria Informatica Gestionale e dell’Automazione dell’Università Politecnica delle Marche, coordinatore del Contamination Lab UnivPm e della Fondazione Merloni.

In una terra come le Marche, ricca di antichi mestieri che si tramandano di generazione in generazione, il “saper fare” ha dato origine anche ad imprese fiorenti, alcune delle quali hanno raggiunto vette di eccellenza piazzandosi sui mercati internazionali. Imprese “antiche” che in alcuni casi vedono il loro scoglio nel passaggio generazionale e nell’innovazione. Una longevità che presenta sia punti di forza che di debolezza.

«Le tante imprese presenti nelle Marche sono il risultato della vivacità imprenditoriale che ha contrassegnato gli anni ’70-’80 del secolo scorso» fa notare il professor Iacobucci, sottolineando che se da un lato questa vivacità continua a rappresentare un importante punto di forza per l’economia regionale, dall’altro il fatto che queste aziende non siano sufficientemente strutturate rappresenta una fragilità.

Gran parte del tessuto imprenditoriale marchigiano è infatti costituito da piccole e micro imprese che fanno più fatica ad innovare e ad internazionalizzare, aspetti cruciali nell’attuale quadro congiunturale segnato prima dalla crisi scaturita dalla pandemia di Covid-19 ed ora dai rincari energetici, delle materie prime, dei carburanti e non da ultimo dal blocco dell’export verso la Russia, mercato verso il quale le imprese marchigiane sono molto esposte, specie nell’ambito del calzaturiero (e non solo).

«Se guardiamo all’industria manifatturiera, rimasta troppo legata a settori tradizionali, come calzaturiero, moda, mobile e alimentare, il modello di innovazione fa perno sostanzialmente sulla creatività – osserva -, ma non sulla ricerca e lo sviluppo, ambito nel quale le imprese marchigiane investono ancora troppo poco». 

Accanto al tema settoriale, però, l’economista fa anche notare che le imprese marchigiane scontano anche un gap importante dal punto di vista delle dimensioni aziendali. «Il sistema è fortemente connotato da piccole e piccolissime imprese» che proprio per le loro ridotte dimensioni si scontrano con maggiori difficoltà nel fare business (accesso al credito, competitività, innovazione, internazionalizzazione).

Per questo «è necessario rafforzare il tessuto imprenditoriale» anche in vista delle risorse europee del Pnrr che vedono nella digitalizzazione e nella sostenibilità i due driver fondamentali per le imprese. «La programmazione europea offre opportunità considerevoli e inaspettate – afferma -: la grande scommessa è quella di riuscire ad investire le risorse in modo da creare sviluppo futuro e non assistenzialismo». Cruciale, in tale cornice, il ruolo dell’università che conta strumenti importanti come il Contamination Lab presente nell’Ateneo dorico, strategico nel mantenere vivo lo spirito imprenditoriale, nel creare competenze utili a portare soluzioni innovative non solo per gli imprenditori di “domani”, ma anche per quelle figure professionali tanto necessarie nelle imprese, specie in una fase storica come l’attuale.

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