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Coronavirus, chi soffre di obesità è più esposto: l’ipotesi dell’UnivPm

Il Prof. Saverio Cinti della Politecnica delle Marche, con l’Università degli Studi di Milano e dell’Università degli Studi di Brescia, hanno studiato la correlazione tra mortalità e sovrappeso. Ecco lo studio

La microscopia ottica della biopsia polmonare di un paziente adulto in sovrappeso deceduto per covid-19

ANCONA- Rileggere obesità e sovrappeso alla luce della diffusa e virulenta infezione provocata dal coronavirus. Questo l’obiettivo che il Prof. Saverio Cinti, con i colleghi dell’Università Politecnica delle Marche e un gruppo di collaboratori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università degli Studi di Brescia, hanno raggiunto, riuscendo a proporre una nuova ipotesi patogenetica.

In generale, obesità e sovrappeso colpiscono oltre il 50% della popolazione europea e circa il 70% di quella degli Stati Uniti, configurandosi come una vera e propria pandemia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità reputa responsabile di più di 3 milioni di morti all’anno. È stato osservato, nelle regioni del mondo dove l’obesità è più diffusa, la malattia che consegue al covid-19 è caratterizzata da un elevato indice di mortalità. Inoltre, nelle persone obese, anche in giovane età, il coronavirus ha un decorso più grave e comporta più frequentemente il ricorso alla terapia intensiva.

L’ipotesi formulata dal gruppo di ricercatori, fa riferimento a decenni di studio condotti sul tessuto adiposo dei soggetti obesi, studi dai quali sono scaturite interpretazioni fisiopatologiche e cliniche oggi accettate a livello internazionale. Ma soprattutto, gli studiosi hanno potuto formulare la loro nuova ipotesi grazie alle osservazioni al microscopio di campioni polmonari ottenuti da soggetti sovrappeso recentemente deceduti per covid-19.  

I campioni esaminati infatti presentavano evidenti embolie “grassose” – cioè costituite da gocce lipidiche – nel microcircolo polmonare. Questo tipo di embolia è più frequentemente riscontrabile in soggetti politraumatizzati per gravi incidenti stradali, e deriva dalla fuoriuscita nel sangue di gocce lipidiche dalle ossa fratturate. Le embolie grassose possono interessare anche il microcircolo di altri organi e tessuti, oltre che i polmoni, provocando sintomi neurologici, cutanei o sistemici, fino a determinare una vera e propria “sindrome da embolia grassosa” o FES (Fat Embolism Syndrome).

«Come dimostrato dal nostro gruppo nel 2005 – afferma Saverio Cinti dell’Univpm -, il tessuto adiposo dei soggetti con obesità contiene molte cellule adipose morte: il grasso in esse contenuto fuoriesce nella matrice extracellulare e, almeno all’inizio, viene smaltito da cellule “spazzino” denominate macrofagi. I macrofagi non sono altro che cellule infiammatorie; dunque, il tessuto adiposo del soggetto obeso è un tessuto infiammato, caratterizzato da goccioline grasse che si accumulano nello spazio intracellulare e stimolano una risposta infiammatoria».

«Gli adipociti esprimono sulla propria membrana cellulare – aggiunge Alessandra Valerio dell’Università degli Studi di Brescia – il recettore ACE2 che favorisce l’entrata del virus SARS-CoV-2 e, per motivi ancora sconosciuti, tale recettore aumenta negli adipociti ipertrofici (giganti), tipici dei soggetti con obesità».

Tale entrata del virus favorirebbe la morte di un numero ancora maggiore di cellule adipose. Quindi, quello che sembra succedere è che oltre all’infiammazione del tessuto adiposo tipica dell’obesità, nel paziente COVID-19 si aggiungerebbe quella promossa dal virus; tale meccanismo amplificherebbe la fuoriuscita dalle cellule di residui grassi e, quindi, il rischio di embolie grassose.

Infatti, «i quadri polmonari che si trovano nei pazienti COVID-19 si manifestano spesso con lesioni bilaterali, proprio come quelle causate dalle embolie grassose che possono far seguito alle fratture multiple», commentano Antonio Giordano e Laura Graciotti dell’Università politecnica delle Marche. Tale ipotesi potrebbe avere importanti ripercussioni terapeutiche, oltre che patogenetiche.

Gli interventi comunemente adottati nei pazienti con la sindrome da embolismo grassoso (tra cui l’ossigeno-terapia, l’eparina a basso peso molecolare, i cortisonici e altri farmaci antiinfiammatori) sono in parte sovrapponibili a quelli variamente messi in atto su base sperimentale in caso di COVID-19.
 
La ricerca verrà ora proposta alla comunità internazionale con un Brief Report di prossima pubblicazione sull’International Journal of Obesity. 

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