Ancona-Osimo

Coronavirus, gli infermieri in rianimazione si raccontano: «È una guerra sorda, restate a casa»

Combattono ogni giorno contro un virus che ha già strappato alla vita 69 persone. Le parole degli uomini e delle donne che lavorano ogni giorno allo stremo delle forze in un faccia a faccia con la morte

ANCONA – Entrano in ospedale soli, senza familiari che possano assisterli, e si spengono in quella stessa solitudine, privi del conforto di chi li ha amati. Sono i pazienti ogni giorno vengono strappati all’affetto della propria famiglia dal Coronavirus, un mostro disumano che nelle Marche ha già ucciso 69 persone, tutte anziane con comorbilità.

I pazienti più critici vengono sedati al loro arrivo in ospedale perché l’agitazione di non respirare bene creerebbe loro ulteriori difficoltà di ventilazione polmonare, racconta Monica Discepoli, infermiera della Rianimazione dell’ospedale di Senigallia, convertito in struttura per i pazienti Covid-19.

Stretti nella morsa di una lunga e pesante polmonite, si addormentano senza sapere se riusciranno più a svegliarsi. «Li sediamo prima di intubarli – spiega l’infermiera -, non vengono visti dai familiari che non posso entrare nel reparto per evitare la diffusione del contagio, inoltre il più delle volte gli stessi familiari sono in quarantena».

L’ospedale di Senigallia è stato trasformato da circa una settimana con il nuovo piano regionale da struttura non Covid a struttura che ospita e cura esclusivamente pazienti con Coronavirus.

Lavorando nel reparto della Rianimazione Monica Discepoli la morte l’ha vista in faccia molte volte nell’arco della sua carriera professionale: «Lavoro in Rianimazione da 30 anni, è sempre brutto affrontare la morte, ma in questo momento andiamo a lavorare con la paura. Temiamo di essere contagiati e di contagiare le nostre famiglie che ci aspettano a casa. Non abbiamo presidi a sufficienza e non sappiamo cosa ci aspetterà domani, ma è venuto fuori il lato più bello e umano di tutti noi. Nel reparto c’è armonia tra colleghi, ci teniamo uniti remando tutti insieme e questa è la cosa bella che è venuta fuori. C’è un prendersi carico di questa situazione e volerla sconfiggere, a tratti arriva l’ansia perché vai è come andare in guerra tutti i giorni – prosegue -: dobbiamo stare attenti, attenerci alle procedure. Quando indossiamo la mascherina dobbiamo evitare di toccarci il viso e cerchiamo di utilizzare il più possibile gli stessi presidi per averne per tutti, in molti reparti non hanno niente ed è difficile, lavorare in queste condizioni. È una attenzione continua per se stesse e per i pazienti, ma anche per proteggere i colleghi che arriveranno dopo il nostro turno».

Le difficoltà di approvvigionamento delle mascherine spingono gli operatori ad un utilizzo centellinato di questi dispositivi di protezione. Ma si trovano a gestire anche gli effetti personale delle persone ricoverato nel loro reparto, come anelli, telefoni e documenti. «È un altro pensiero che abbiamo, e dobbiamo sistemare tutto per evitare che questi effetti personali vadano persi e che vadano a contaminare quanto c’è in ospedale».

È un fare i conti ogni giorno con lo spettro della morte in una lotta costante per sconfiggerlo, ma qualcuno non ce la fa. «Qualche giorno fa è morta una anziana che era ricoverata in questo reparto – racconta -, mi sono seduta affianco a lei, c’è una grande dignità nello stargli vicino, sapendo che non hanno i loro familiari affianco».

«Cosa ho provato? Sai che è sola e te ne prendi carico come se fosse della tua famiglia. Le ho detto una preghiera, era “la mia prima vittima” con il Covid».

Una situazione devastante anche per i familiari a casa che sanno di non poter vedere più i loro cari, di non poter più stringere loro la mano neanche per un istante. Una morte devastante.

«È una guerra sorda quella che stiamo combattendo contro un virus micron – osserva l’infermiera – è come quando i nostri cari partivano per andare in guerra, io la identifico così. Alle mie figlie quando torno a casa dico loro che questa è una grande lezione di vita, che ci insegna che tutto quello che sembra importante, come i soldi o avere tutto alla fine non serve a niente. Siamo talmente fragili e soli davanti alla morte e dobbiamo apprezzare le cose più semplici. Questo momento di quarantena farà riflettere molti sulla bellezza della libertà. Sono esperienze che ti cambiano».

Cosa si sente di dire a chi prende le misure restrittive sottogamba?
«Le persone devono capire che devono stare a casa, nella consapevolezza di aiutare gli altri e chi lavora. È difficile reperire i presidi e anche i farmaci, inoltre non conosciamo bene il virus, ancora che chi porta i figli al parco a giocare. Forse servirebbero misure più estreme, di certo serve la coscienza di ognuno e la responsabilità». Eroi, gli infermieri, che insieme ai medici e agli altri operatori sanitari combattono ogni giorno una battaglia strenua.

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