Ancona-Osimo

Coronavirus, in campo le Usca. Così il medico entra a casa dei malati

Intervista al dottor Guido Sampaolo, tra i coordinatori delle unità speciali del distretto sud: «Non aspettiamo il Covid 19, andremo noi a dargli la caccia»

I medici dell’USCA dopo aver ricevuto i primi dispositivi medici frutto delle donazioni online. Da sinistra a destra Michele Pucci, Jacopo tritto, Sergio fagioli, Gasparini Valeria, Luca De Santis.

OSIMO – Si chiamano Usca, acronimo di unità speciali di continuità assistenziale. Sono squadre formate da medici di famiglia e guardie mediche con il compito di individuare e assistere le persone affette da coronavis direttamente nel loro domicilio. Il dottor Guido Sampaolo è tra i coordinatori delle unità del “distretto sud” che agiscono nei comuni della Valmusone e coprono una popolazione di 80 mila abitanti. «Per la prima volta nel nostro territorio non aspetteremo che il Covid 19 compia il suo nefasto lavoro, ma andremo a dargli la caccia», aveva dichiarato pochi giorni fa sul proprio profilo facebook per lanciare l’avvio della task force.

Ma come nascono queste unità speciali e qual è il loro ruolo?
«Le Usca sono previste dal Decreto Legge Cura Italia – ci spiega il dottor Sampaolo –  e svolgono un’attività domiciliare fatta appositamente per individuare e curare a domicilio le persone con casi sospetti o confermati di Covid-19».

Come vengono contattate?
«La segnalazione arriva dal medico di famiglia quando sospetta che un suo paziente abbia il Covid. Il coordinatore della Usca del territorio competente fa una prima verifica e poi mette in moto l’unità che svolge una serie di azioni, dal monitoraggio telefonico fatto anche più volte al giorno, fino alla visita a domicilio per verificare parametri come la pressione e la saturazione. Se lo ritiene necessario può fare un tampone».

Il dottor Guido Sampaolo

Qual è il vostro territorio di competenza?
«Ogni Usca copre una popolazione di 50 mila abitanti, nel distretto sud che comprende i comuni di Osimo, Castelfidardo, Loreto, Camerano, Numana, Sirolo e Offagna ci sono circa 80 mila persone e sono presenti due Usca. Ogni unità è composta da due medici, dotati di automobile e dispositivi di protezione».

Come agite?
«Intercettiamo precocemente la malattia per impedire che arrivi la complicazione della polmonite interstiziale bilaterale che conduce la persona al ricovero in ospedale. Facciamo mediamente dieci visite domiciliari al giorno. In questo modo puntiamo ad alleggerire gli ospedali e i reparti di rianimazione che sono ormai al limite».

Come vengono curati i pazienti?
«Non esistono linee guida perché nessuno specialista può ritenersi un esperto. È un virus che non si conosceva fino a 3 mesi fa. Esistono una serie di documenti scientifici redatti da organismi ufficiali quali l’AIFA o le società scientifiche delle malattie infettive che suggeriscono alcuni schemi terapeutici ai medici curanti».

Avete bisogno di attrezzatura medica? Cittadini e imprese come possono aiutarvi?
«Abbiamo avuto moltissime donazioni, ad esempio da parte della Cisel della famiglia Fioretti, da parte del Comune di Castelfidardo tramite la Polizia Municipale, e ne stiamo ricevendo da parte di comuni cittadini attraverso una piattaforma online di raccolta fondi. C’è continua necessità di dispositivi di protezione e attrezzatura medica, per questo c’è bisogno della solidarietà di tutti».

Era prevedibile una pandemia del genere? C’è stata all’inizio una sottovalutazione?
«Non è stata sottovalutata, semplicemente non conoscevamo ancora questo virus e quindi non sapevamo individuarlo. Sicuramente circolava ancor prima che ce ne accorgessimo. Ci sono stati tra dicembre e gennaio una serie di casi di polmoniti virali atipiche ma non sapevamo riconoscerle come Covid-19. Ora lo conosciamo e sappiamo come trattare questi casi».

Quanto durerà ancora?
«L’arma finale sarà il vaccino ma bisognerà aspettare almeno un anno. Ogni vaccino dev’essere sicuro, andranno fatte prove di efficacia e tollerabilità, con test prima in laboratorio, poi nell’animale e infine nell’uomo. Soltanto alla fine si potrà mettere in produzione su larga scala».

E nel frattempo?
«Bisognerà proseguire con l’isolamento domiciliare, il riconoscimento precoce della malattia e l’utilizzo dell’unico farmaco che finora si è dimostrato efficace che è l’idrossiclorochina. Nonostante sia stato usato originariamente per le malattie reumatiche e nella profilassi della malaria, sappiamo che ha un’importante effetto antivirale e ci sono numeri e studi cinesi che ne evidenziano l’efficacia».

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