Ancona-Osimo

Che anno sarà il 2021 per le Marche? La parola all’economista Marco Cucculelli

Per il professore dell'università Politecnica delle Marche, «è necessario ridurre l'incertezza che frena gli investimenti e l'attività delle imprese sul mercato»

Addio al 2020, ma non ce lo lasceremo facilmente alle spalle. C’è chi continuerà a studiarlo a lungo, ne farà materia di libri e di lezioni, un “caso” di cui continueremo ad occuparci, negli studi economici e sociali prossimi venturi, ma anche nella nostra quotidianità per la cesura netta rispetto al passato che i terribili mesi della pandemia hanno portato nella vita di ciascuno di noi. E c’è già chi lo sta analizzando nei dettagli, come Marco Cucculelli, professore di economia applicata presso la Facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche. Conoscitore profondo dei processi industriali, del credito e della internazionalizzazione della nostra regione, il Prof. Cucculelli è noto a queste pagine per la realizzazione dell’annuale Rapporto sull’Industria Marchigiana, il report di Confindustria Ubi e Politecnica Marche che ogni anno fotografa lo stato di salute della nostra economia e delle Pmi in particolare.

L’economista Marco Cucculelli, docente dell’Università Politecnica delle Marche

Si chiude un anno difficile, e quello che si annuncia non sarà facile. Può tracciare un bilancio e tentare una previsione?
«L’anno in chiusura farà storia a sé nelle statistiche, purtroppo in negativo, per le note motivazioni legate all’emergenza sanitaria. Il diffondersi della pandemia ad inizio anno e il suo protrarsi nel corso del 2020 hanno generato uno scenario del tutto eccezionale, che ha colpito in maniera trasversale pressoché tutti i settori e le imprese. Difficile dunque fare un bilancio comparabile con gli anni precedenti: ad eccezione di pochi comparti che hanno beneficiato del repentino spostamento della domanda, la maggioranza delle imprese manifatturiere e di servizi ha registrato pesanti flessioni dei livelli di attività, di ordine non comparabile con la dinamica normale della vita aziendale.
Per le Marche, i numeri relativi alle attività produttive, esportazioni e occupazione sono abbastanza preoccupanti, non solo perché peggiori – anche se di poco – di quelli delle altre regioni italiane simili per tipologia delle specializzazioni, ma anche perché la crisi indotta dal Covid-19 si è innestata su un percorso di riassetto del sistema economico condizionato in negativo da fattori recenti estremamente rilevanti. Gli eventi sismici, la riorganizzazione del sistema finanziario locale, i nuovi assetti imprenditoriali attivati dal mercato della proprietà delle imprese hanno condizionato le performance aggregate del sistema nel corso dell’intero decennio, rendendo difficile una valutazione in continuità della congiuntura per il 2021. Certo è che se il posizionamento delle imprese nelle fasi a monte delle catene di fornitura e la scarsa presenza in quelle finali hanno agito in negativo sulla competitività, le imprese potranno beneficiare molto del ripristino atteso di condizioni normali della domanda. Ma è presto per dirlo perché, nonostante i segnali positivi derivanti dall’introduzione del vaccino, l’incertezza del quadro economico condiziona ancora pesantemente le prospettive a breve del sistema».

Nelle Marche si è sommata crisi su crisi, con la ricostruzione post sisma è al palo. Molti indicatori economici denunciano un abbassarsi costante di alcune importanti “performance economiche”, al di sotto della media nazionale e talvolta del centro Italia. C’è il rischio di uno scivolamento della regione verso un’economia da Sud Italia?
«L’effetto del sommarsi delle crisi è evidente nei numeri dell’economia, purtroppo. E l’atteso effetto positivo della ricostruzione post-sisma tarda a manifestarsi. Difficile parlare di scivolamento o di posizione relativa. Credo che l’interrogativo sia quale percorso di ripartenza la regione sarà in grado di intraprendere nei prossimi anni. Utile segnalare che esso dipenderà in maniera significativa dall’indirizzo fornito dall’azione pubblica, in aggiunta al libero operare delle forze di mercato. Dunque, sarà cruciale il ruolo della politica industriale, che dovrà sostenere la capacità del sistema di riorganizzarsi per cogliere in positivo le opportunità che emergeranno».

Quali misure sono, secondo lei, le più urgenti?
«Nell’immediato, la riduzione dell’incertezza del quadro economico. Questo sarà certamente favorito dalla stabilità del nuovo quadro politico regionale e dalla definizione di linee di intervento chiare e finalizzate. Gli interventi di emergenza a favore delle attività economiche sono già stati avviati. La fissazione di priorità nell’utilizzo dei fondi della nuova programmazione comunitaria potrà sostenere ulteriormente questo processo.
Nel medio periodo, la selezione delle misure di intervento dipenderà dagli obiettivi che si vorranno perseguire. La regione ha fattori di vantaggio competitivo che si sono consolidati nel tempo e che sono guardati con attenzione da osservatori esterni e investitori. Tra questi, un fattore estremamente importante è la capacità di fare impresa, che ritengo vada sostenuta anche all’interno di un quadro più ampio di politica industriale. Centrale resta il ruolo della manifattura: oltre la metà delle imprese ad alta crescita rilevate nella regione tra il 2015 e il 2019 è nei settori manifatturieri, contro una media nazionale appena superiore al 30%. Non si potrà inoltre prescindere da azioni mirate a dare struttura al sistema, quali quelle destinate ad accrescere la dimensione aziendale, anche con la finanzae quelle indirizzate al consolidamento della leadership e al passaggio delle quote proprietarie nelle imprese. Una attenzione particolare potrà essere posta alle modalità con le quali gli imprenditori stanno riposizionando le proprie imprese nelle filiere e all’upgrading delle catene del valore. Su questo, si segnala come molte imprese hanno recentemente innovato il proprio modello di business, spostandosi verso approcci più collaborativi e rivolti alla integrazione lungo la filiera. In tutti questi cambiamenti, le tecnologie digitali hanno fornito un supporto cruciale, specie sul fronte dell’ottimizzazione dei rapporti di fornitura, della produzione di prodotti complessi e della logistica.  I nuovi modelli di business a base digitale attenuano marcatamente il vincolo della dimensione, specie nelle attività a maggior valore aggiunto quali quelle finali della catena del valore. Una nostra ricerca sui modelli di business delle imprese italiane mostra come l’adozione di modelli più efficienti non è stata nelle Marche meno frequente di quella osservata in altre realtà produttive nazionali. Credo sia dunque importante accompagnare questo processo di riorganizzazione in atto».

Recentemente la Cgil, con uno studio su 10 anni di salari e livelli occupazionali, ha denunciato: “nelle Marche si è poveri pur lavorando. Più della metà dei lavoratori è precario o part time, e un terzo ha salari al di sotto della soglia di povertà. La ripresa occupazionale degli ultimi anni è rappresentata prevalentemente da rapporti di lavoro precari, discontinui e a tempo parziale che hanno pesantemente eroso i rapporti di lavoro stabili. Avere un lavoro non è sufficiente a garantire una vita libera e dignitosa”. Cosa ne pensa?  
«È la lettura in chiave socio-economica della caduta della produttività che interessa l’economia italiana ormai da alcuni decenni e che si sostanzia nel progressivo abbassamento dei livelli relativi di remunerazione dei fattori che concorrono alla produzione, primo tra tutti il lavoro. Unica via di uscita è quella di tornare su un percorso di crescita che consenta alle imprese e alle istituzioni di generare maggior valore. Dunque, iniziative finalizzate primariamente ad accrescere il valore aggiunto nelle produzioni e nei servizi, non solo compressione dei costi o miglioramento dell’efficienza».

Il sistema del credito nelle Marche è stato interessato, in questi ultimi anni, da cambiamenti profondi. A che punto siamo?
«Credo che in larga parte il processo di riorganizzazione del credito regionale fosse inevitabile, vista la dimensione media dei player locali e le dinamiche competitive che hanno caratterizzato l’industria finanziaria nazionale nell’ultimo decennio. Personalmente, vedo in positivo il nuovo assetto che si sta configurando, perché – in aggiunta alle banche locali che hanno mantenuto un ruolo centrale di supporto anche nei periodi difficili – il sistema economico potrà beneficiare di operatori interessati alla vivacità del sistema imprenditoriale e alla sua crescita. Il supporto che questi potranno dare al sistema produttivo sarà significativo, sia perché essi sono in grado di competere con successo sui mercati internazionali, e di canalizzare su questi le imprese della regione, sia per l’attenzione che rivolgono alla vivacità imprenditoriale, alla crescita delle strutture aziendali e all’interazione virtuosa di queste con il territorio.
Resta aperta la questione della finanza per lo sviluppo diversa dal credito bancario. Essa sostiene non solo i percorsi ordinari di crescita e di internazionalizzazione, ma anche i più impegnativi processi di innovazione radicale e transizione proprietaria, anche generazionale. Seppur positive, le esperienze regionali su questo versante sono ancora limitate, ma dimostrano come azioni appropriate possano contribuire a mantenere valore se propriamente accompagnate. Una ulteriore, significativa leva per la politica industriale a supporto del riposizionamento del sistema economico regionale nei prossimi anni».

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