Ancona-Osimo

Bartali, il campione eroe. «I documenti nella bici, così nonno Gino salvò 800 ebrei»

Gioia, la nipote del Ginettaccio, riavvolge i nastri di una storia che lui non voleva far sapere: «Certe medaglie si attaccano all’anima, non alla giacca»

Gino Bartali con la moglie, Adriana (foto per gentile concessione della nipote)

MONTEGRANARO – Gino Bartali pedalava dalla Toscana all’Umbria, arrivando fino in Liguria. Lo faceva in guerra, sotto i bombardamenti. Alla moglie, Adriana, diceva che usciva per allenarsi. E lei, scettica e ignara di tutto, provava a farlo desistere: «Ma Gino dove vai, perché continui ad allenarti se le gare, in guerra, sono sospese?».

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Il campione di ciclismo, con la scusa degli allenamenti, usciva di casa e andava a salvare vite. Quelle degli ebrei che altrimenti sarebbero stati deportati e uccisi, com’è accaduto a tanti. Nella canna della sua bicicletta, i documenti falsi stampati ad Assisi, nella stamperia dei fratelli Brizzi. Di quella rete clandestina, faceva parte anche Bartali, morto nel 2000. È la nipote, Gioia Bartali (vicepresidente del Giro d’Italia d’epoca), che tra l’altro vive a Montegranaro, a tenere viva la memoria di nonno Gino: «Tra il settembre ’43 e il giugno ’44 fece una 40ina di viaggi».

Gioia, com’è arrivata nelle Marche?

Gino Bartali con la nipote, Gioia (foto per sua gentile concessione)

«Mio padre era toscano e gli venne affidato un incarico in una ditta marchigiana. Così, sono praticamente cresciuta qui, a Macerata. Ora, abito a Montegranaro».

Come ha scoperto la storia umana (non sportiva) di suo nonno?

«Negli anni ’80, uscì una produzione Rai dal titolo ˊAssisi undergroundˊ, in cui si raccontava la storia di frati, preti e monache che salvarono la vita a molte persone. E ad un certo punto, spuntò anche il nonno. In una scena, si vedeva arrivare un ciclista che veniva accolto a San Damiano da un prete che lo salutò dicendo: ˊAh, Bartali, sei arrivatoˊ».

Prosegua…

«Nonno Gino la prese malissimo, nessuno lo aveva avvisato. Chiamò la Rai e si arrabbiò, non avrebbe voluto comparire. Io avevo 10 anni, ascoltavo i discorsi in casa. In famiglia, abbiamo capito il riserbo che aveva nonno nei confronti di questa vicenda. Per noi, è stato importante rispettare questa sua volontà. Ma oggi, se fosse tra noi, gli chiederei tutto, vorrei sapere qualunque cosa. Quando qualcuno provava a domandargli di più, lui tergiversava dicendo che erano fatti già accaduti, che non serviva ricordare certe cose. Non voleva ricevere meriti per questo suo bene che – diceva – si fa e non si dice. Era un grande cattolico e ripeteva che ˊcerte medaglie si attaccano all’anima, non alla giaccaˊ. Mai si è vantato del bene che ha fatto». 

Adesso si parla di una sua possibile beatificazione. Come la prenderebbe?

«È un percorso iniziato tempo fa. Sicuramente non approverebbe, ma lui in fondo è già in paradiso. Credo che questo iter potrebbe servire indubbiamente più a noi che a lui. Ci sta dando tanto in termini di memoria. Sa cosa mi disse durante un viaggio in auto?».

Che cosa?

Gioia Bartali con i nonni, Gino e Adriana (foto per sua gentile concessione)

«ˊDi me ne parleranno molto più da morto che da vivoˊ. Lo guardai esterrefatta, non capivo. Risposi: ˊChe dici, nonno? Non vedi che ogni volta che passi per strada tutti ti chiamano, ti cercano?ˊ. Solo dopo ho realizzato il significato della sua frase. Si riferiva al fatto che sarebbero uscite fuori alcune cose, su ciò che aveva fatto, che avrebbero acclamato la sua figura, ma di cui lui si era disinteressato. Se lo avesse reso noto in vita, oltre alle riconoscenze sportive ne avrebbe avute altrettante. Ma a lui non interessava, era umile».

Come funzionava la rete clandestina di documenti falsi?

«Il nome della famiglia in questione veniva alterato, ma si cercava di non stravolgerlo. Ad esempio, il nome Vitelli diventava Viterbi. E come provenienza si indicava il Sud Italia. La linea Gustav separava le due zone d’Italia e il meridione, dove c’erano già gli Alleati, sfuggiva ai controlli minuziosi dei tedeschi».

Suo nonno macinò chilometri per salvare gli ebrei…

«Pare ne abbia salvati circa 800, pedalava dalla Toscana a Genova. Allora, lì c’era un importante porto d’imbarco. I monasteri nascondevano documenti e persone. E Assisi, dove c’era la stamperia di documenti falsi, era un punto di riferimento fondamentale. Lui usciva di casa e partiva con addosso la maglia ˊBartaliˊ. Il viaggio poteva affrontarlo senza problemi, era un ottimo meccanico di biciclette in grado di percorrere centinaia di chilometri. Pensi che la Firenze-Assisi (360 chilometri) lui la faceva in un giorno, andata e ritorno».

Nessuno avrebbe mai potuto farlo…

«No. E lui ha scelto di stare dalla parte giusta della storia».

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