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Microplastiche nella cellula, lo studio firmato Politecnica delle Marche. Graciotti: «Ne ingeriamo 5 grammi alla settimana»

Lo studio multicentrico, pubblicato su "The New England Journal of Medicine", correla la presenza di microplastiche al rischio di patologie cardiocircolatorie. «È come se mangiassimo una carta di credito alla settimana»

La professoressa Laura Graciotti dell'Univpm

ANCONA – Dimostrata per la prima volta ‘visivamente’ la presenza di micro e nano plastiche all’interno della cellula umana. La scoperta è di un team di ricercatori dell’Università Politecnica delle Marche. Lo studio è stato pubblicato il 7 marzo scorso dalla prestigiosa rivista scientifica The New England Journal of Medicine. L’importanza della scoperta, spiega la dottoressa Laura Graciotti, docente di Scienze tecniche di medicina e di laboratorio presso il Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica dell’Università Politecnica delle Marche, risiede nel fatto che per la prima volta si correla la presenza di microplastiche con un aumento del rischio di sviluppare patologie cardiocircolatorie.

I ricercatori del gruppo Univpm, che oltre alla dottoressa Graciotti sono il dottor Gianluca Fulgenzi, la dottoressa Tatiana Spadoni e la professoressa Fabiola Olivieri dell’Inrca, hanno preso parte allo studio multicentrico coordinato dal professor Paolisso Università della Campania, hanno trovato tracce di microplastiche all’interno delle cellule della placca aterosclerotica.

La ricerca, avviata nel 2020, si è protratta nei tre anni successivi seguendo un campione di 300 pazienti e riscontrando in questi «un rischio più che raddoppiato di sviluppare complicanze cardiovascolari rispetto a chi non le ha. Sapevamo da qualche anno che le microplastiche penetrano nell’organismo, ora però sappiamo anche che queste possono essere la causa di patologie» spiega.

Ma come fanno le micro e nano plastiche ad entrare nell’organismo? La docente fa sapere che «penetrano attraverso l’ingestione (cibo), la respirazione (aria) e per via cutanea, attraverso prodotti che le contengono, come saponi, creme e dentifrici: le microplastiche – prosegue – vengono aggiunte ai prodotti da corpo per renderli più piacevoli al tatto. ma sarebbe meglio non utilizzarli».

Come capire se i prodotti che si acquistano abitualmente hanno al loro interno microplastiche? «Non è proprio semplice – spiega – perché esistono molte sigle, almeno 30 o 40 specie diverse di plastiche. In linea generale tra gli ingredienti possono comparire sigle come Pe, Pte, ed altre». La ricercatrice fa notare che «in una sola settimana ingeriamo mediamente 5 grammi di microplastiche, è come se mangiassimo una carta di credito a settimana: non tutta la plastica viene assorbita dall’organismo, ma con la nostra scoperta sappiamo che una piccola parte viene trattenuta».

Una scoperta, quella dell’Univpm, che riaccende i riflettori sul problema dell’inquinamento, sui «manufatti in plastica non smaltiti correttamente e non riciclati. Ad evidenziare la presenza della sostanza nelle cellule è stato l’utilizzo di un microscopio a trasmissione e scansione per materiale biologico con microanalisi, mentre fino ad oggi venivano usati altri metodi, clinici, che però non consentivano effettivamente di ‘vedere’ la plastica nella cellula, precisamente nei macrofagi. Uno strumento nuovo e all’avanguardia, quello dell’Univpm, presente solo in pochissimi centri italiani.

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