ANCONA – Oggi (15 maggio) è la Giornata internazionale della famiglia. Ad Ancona, ad esempio, il Comune ha dato il via a una festa in grande stile: tre giorni di kermesse per celebrare il nucleo primigenio di società, ad oggi in costante evoluzione. Il primo Festival della Famiglia (clicca qui) andrà in scena alla Cittadella dal 17 al 19 maggio: un’iniziativa dell’assessorato alla famiglia che animerà il parco cittadino con una serie di eventi (si inizia alle 16). Spazi dedicati, animazione, sport, magia, divertimento per i più piccoli, un incontro con le associazioni familiari, un concerto e tanto altro, da vivere tutti insieme alla Cittadella.
Ma com’è cambiato, nel tempo, il modello familiare? Insomma, ha ancora senso parlare di famiglia tradizionale? E sono fondate le ipotesi di chi dice che fra 200 anni noi italiani non esisteremo più? Lo abbiamo chiesto al professor Francesco Orazi, associato di Sociologia dei processi economici e del lavoro dell’Univpm, Università Politecnica delle Marche.
Professor Orazi, com’è cambiato il modello familiare negli anni e quali sono le cause?
«Negli ultimi decenni, la composizione delle famiglie si è disarticolata e differenziata. Quello che era il modello classico di famiglia media (genitori con due figli) è di fatto un ricordo che tende a sbiadire. Oggi, in Italia, la famiglia più diffusa, circa un terzo del totale, è rappresentata dai nuclei monoparentali. Anziani soli, ma soprattutto single. Invecchiamento della popolazione e individualizzazione sociale sono in gran parte le cause di questa circostanza. Nello stesso tempo, le famiglie si sono pluralizzate: separazioni, divorzi e ricomposizioni informali di nuovi nuclei (convivenze) stanno ridisegnando in modo radicale le economie affettive entro le quali si formano le nuove generazioni. In generale, appare piuttosto fuori tempo e luogo che a livello delle politiche si parli ancora di ˊfamiglia al singolareˊ. In una società individualizzata che ha liberato i vincoli istituzionali dell’affettività, pretendere di pensare alle famiglie con in testa il modello di una presunta famiglia naturale significa di fatto non affrontare il problema».
E in futuro? Quali saranno i cambiamenti?
«A mio avviso, le famiglie saranno sempre più diversificate. Una società che voglia la libertà affettiva come spazio di agency deve confrontarsi con la libertà dei singoli di strutturare la propria identità sessuale e il proprio modo di intendere i legami affettivi e familiari».
Cioè?
«Quelle che con uno slogan si definiscono ˊfamiglie arcobalenoˊ saranno a mio avviso nuclei in crescita, per il resto, salvo sconvolgimenti, le dinamiche di pluralizzazione di cui accennavo continueranno la loro marcia».
Che ne sarà della famiglia tradizionale?
«Se proprio dovessi sbilanciarmi, direi che tenderà a diminuire ulteriormente, trasformandosi sempre più nel riflesso di una illusione ideologica. Non ci sono famiglie giuste o sbagliate, esistono famiglie che vediamo sotto i nostri occhi. E del fatto che ˊil mondo è come èˊ dovremmo farcene finalmente una ragione. Questo non significa gettarsi in un indistinto relativismo morale, al contrario significa sforzarsi nella ricostruzione di tessuti etici che facciano della pluralità un valore di ricomposizione delle relazioni sociali, familiari e affettive in generale. Significa riconoscere gli altri nella loro dignità, sapendo che le alterità sono molteplici in una società di individui».
È notizia di pochi giorni fa lo stop al “Family act”: niente bonus giovani, niente revisione dei congedi parentali ma continuerà la misura dell’assegno unico. Quali sono gli interventi più incisivi per incentivare le nascite che andrebbero intrapresi?
«Questa è la traduzione politico-istituzionale della paresi che ho evidenziato. Finché sarà la lente ideologica a guidare le politiche familiari, nulla sarà affrontato con la serietà necessaria rispetto alla drammaticità del fenomeno. Si tenga ad esempio conto che alcune analisi demografiche adombrano la stima secondo cui, continuando con gli attuali tassi di fecondità italiani, tra 200 anni non ci saranno più italiani. Urge in primo luogo una strutturata e pervasiva politica di sostegno alla maternità. Basterebbe copiare ciò che la Francia ha fatto negli ultimi tre decenni, cioè il tempo in cui il nostro Paese e la nostra società hanno sull’argomento latitato. Ma l’agenda politica nazionale mi pare ancora totalmente disallineata da questa evidente necessità strutturale di sopravvivenza demografica, civile e culturale. Trovo tutto questo rischioso e sconfortante».
È vero che le famiglie omogenitoriali sono in aumento, in Italia? Quale posizione ha la letteratura sociologica in merito alle ripercussioni sulla psiche dei figli?
«Queste sono le questioni di pluralizzazione e diversificazione dei modelli di cui parlavo. La sociologia tende ad analizzarli come fenomeni sociali, non li tratta come questioni morali. Sulla ripercussione psicologica, il discorso è molto ampio, ancora in nuce e soprattutto, tenuto contro che parliamo di fenomenologie sociali ancora in corso, occorrerà tempo per valutare tutto questo. In generale, penso che qualsiasi modello familiare, da quelli tradizionali a quelli post-tradizionali, siano l’emblema e l’agone di gran parte dei complessi traumatici che caratterizzano il percorso esistenziale di ogni individuo. Ma questa è un’ovvietà spesso rimossa sia nella comunicazione pubblica che nelle relazioni private».
Hanno ancora senso gli ostacoli all’adozione (o alla fecondazione assistita) per le coppie omogenitoriali o ai single?
«Credo proprio di no. Quello che non ha senso è non avere in questo Paese, da decenni in inverno demografico, una adeguata batteria di policies ancorata alla realtà, non all’illusorio desiderio ideologico di cercare un’ideale di purezza dentro una presunta idealità naturale della famiglia. Direi, citando la politologa Wendy Brown, che in un mondo privo di morale come il nostro, rimangono sul campo solo i moralismi, cioè la presunzione degli immorali di dire cosa sia bene o male».