Ancona-Osimo

«Io, psicologo e attore. I set Rai? Sì, ma ho iniziato dalla strada». Intervista all’artista marchigiano Daniele Vagnozzi

L'attore vanta già esperienze con Frank Matano (Coinquilini del terzo piano), in Rai con ˊIl paradiso delle signoreˊ, in un film di Edoardo Leo e nel documentario ˊBenelli su Benelliˊ

Daniele Vagnozzi

ANCONA – Un attore psicologo o uno psicologo attore? Daniele Vagnozzi, ironia e talento, bravura e semplicità, è Lele nel film ˊLa spiaggia dei gabbianiˊ, del regista anconetano Claudio Pauri (che ha curato la sceneggiatura insieme a Giulia Betti). La pellicola, in città, sarà proiettata fino a domani (23 aprile), al Movieland Goldoni. Poi, girerà per tutte le Marche approdando in festival (inter)nazionali.

Vagnozzi, laureato in psicologia, insegue il sogno di diventare attore sin da quando recitava per strada tra Sirolo, Numana e Senigallia, catturando gli occhi distratti della gente. Il copione lo aveva dentro sin da piccolo, quando rideva sulle battute di Massimo Troisi e Robin Williams.

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Nonostante la sua giovane età, vanta già esperienze con Frank Matano (Coinquilini del terzo piano), in Rai con ˊIl paradiso delle signoreˊ, in un film con Edoardo Leo e nel documentario ˊBenelli su Benelliˊ. Ha lavorato anche al fianco di Neri Marcorè con ˊLa buona novellaˊ e collabora da tempo con ˊL’orchestra filarmonica marchigianaˊ. Ora, oltre a portare sui palchi di tutta Italia il suo spettacolo, ˊTutti bene ma non benissimoˊ (che andrà al FringeMi e all’Asti Teatro Festival), è anche sul set di un lavoro Rai che sta prendendo forma proprio nelle Marche.

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Dopo la maturità classica al Rinaldini, Vagnozzi (classe ‘91) si iscrive a Psicologia a Bologna. Quindi, l’Erasmus a Barcellona e il completamento della magistrale non prima di aver frequentato l’accademia dei filodrammatici a Milano. «Non voglio fare lo psicologo – dice convinto – ma farò sia il tirocinio sia l’Esame di Stato perché trovo che la psicologia possa aiutare molto un attore nel proprio lavoro. Nel periodo universitario, frequentavo laboratori teatrali ed è lì che ho scoperto nel teatro c’era ciò che stavo cercando nella psicologia». Vagnozzi si interrompe all’improvviso: «Ma lei sta registrando? Posso dire parolacce?». È così, Daniele, tanto profondo e riflessivo quanto sorprendente, sarcastico e scanzonato.

Daniele Vagnozzi

Vagnozzi, dica la verità: le piaceva l’università?
«Le lezioni di psicologia mi annoiavano a morte. Erano troppo teoriche per me che cercavo l’empatia, il comportamento concreto delle persone. La mattina andavo a lezione di teoria del comportamento umano e la sera facevo teatro e portavo in scena quelle nozioni. Vede, la psicologia e la recitazione sono due modi di fare la stessa cosa, di occuparsi della relazione umana, dell’empatia. La recitazione è come la psicologia. Mi piace il mio lavoro, mi piace la gente. E soprattutto mi piace interrogarmi sul perché le persone fanno ciò che fanno. Perché dicono ciò che dicono? Perché si comportano in una determinata maniera?».

Chi è il suo mito?
«Sin dai tempi delle medie, a Castelferretti, Massimo Troisi era uno dei miei fari, così come Robin Williams. Che ho cercato di mettere nel personaggio di Lele (ne ˊLa spiaggia dei gabbianiˊ). Sono tutti empatici, sospesi fra ironia, malinconia e sensibilità».

Daniele, cosa fa lei prima del ciak?
«Cerco di analizzare la scena coi colleghi, di capire cosa e perché muove quel personaggio. Mi chiedo, ad esempio, perché Lele fa quella battuta, cosa teme e cosa desidera. E questo è ciò che mi piace di più del mio mestiere, capire perché le persone fanno certe cose».

Che poi dovremmo tentare di capirlo anche (e soprattutto) nella vita vera. Non crede?
«Sì, ma sul set è più facile. E questa è la magia del teatro e del cinema. I film semplificano le cose perché dietro c’è la regia, che manca nella vita. Sul set, sei in un ambiente protetto, in un piccolo mondo parallelo. E io quando recito cerco di vedere me in un mondo possibile».

I suoi luoghi del cuore?
«Ancona e il Conero, dove abbiamo girato ˊLa spiaggia dei gabbianiˊ. Al mare, mi sento a casa. Poi, Portonovo, Sirolo, il Duomo di San Ciriaco. A proposito, c’è ancora quel baretto sotto la cattedrale? »

Non più…
«Peccato, ci andavo sempre con mio padre e gli amici del liceo. Sa, lì, ho passato un’intera adolescenza, anche se vivevo a Falconara. Ad Ancona, sono nate tante cose, anche la motivazione ad andare fuori. Perché per fare un certo tipo di vita e di lavoro, oggi, non puoi restare qui. Certo, la speranza è che le cose cambino e il mio sogno è che i ragazzi possano rimanere vicino casa per fare il mio mestiere».

Un mestiere precario e incerto: come l’hanno presa in famiglia?
«Guardi c’è qui mio padre, ora glielo chiedo». L’intervista s’interrompe, ndr. Dall’altra parte della cornetta, Vagnozzi si rivolge al padre: «Pa’, come l’hai presa quando ti ho detto che volevo fare l’attore?». Risponde papà Massimo: «Benissimo, ognuno deve fare ciò che sente per essere felice». «Ha visto? – riprende il ragazzo – I miei genitori mi hanno sempre supportato e non è scontato. Sono loro i miei primi fan. La carriera attoriale è un percorso difficile e se non hai le spalle coperte diventa ancora più complesso».

Ora è in scena a teatro, in tutta Italia, con ˊTutti bene ma non benissimoˊ, di cui è autore e regista…
«Sì, è un monologo che tratta, in chiave ironica e poetica, del rapporto fra giovani e psicoterapia».

Lei l’ha fatta?
«Sì, e ci credo molto. Tutti dovrebbero fare psicoterapia. Non lo dico da psicologo, ma da giovane. L’ho fatta da adolescente e mi ha aiutato tantissimo. Siamo in un’epoca in cui finalmente si parla di salute mentale senza pregiudizi né vergogna. Esiste il medico di base ma non ancora lo psicologo di base. E sì, ci stiamo arrivando, ma con una lentezza incredibile. La salute mentale va mesa alla stregua della salute fisica. Prima di questo spettacolo, ho fatto ˊArgonauti e Xanaxˊ, con la mia compagnia di Milano, la Caterpillar, che parlava dell’ansia e del panico nei giovani. Parlare di questi temi, di tristezza e di depressione senza pregiudizi è la chiave della nostra epoca.
Noi diciamo sempre di stare bene, ma è davvero così?».

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