Ancona-Osimo

Violenza sulle donne: il codice rosso è legge. Maltrattamenti domestici in crescita

Il provvedimento ha avuto il via libera in Senato. Previsto anche l'inasprimento delle pene e indagini più celeri se il reato è commesso in famiglia. Myriam Fugaro dell'associazione "Donne e Giustizia": «Serve un sostegno generale in tutto il percorso di uscita dalla violenza e di recupero della propria autonomia». Ecco cosa cambia

ANCONA – Corsia preferenziale per le denunce e indagini più rapide per maltrattamenti, violenza sessuale, stalking, e lesioni aggravate, commessi in contesti familiari o nell’ambito di relazioni di convivenza. È quanto prevede il codice rosso, il provvedimento che ha incassato il via libera del Senato lo scorso 17 luglio. Sostanzialmente introduce nuove norme sulla violenza di genere e domestica, prevedendo un inasprimento delle pene per i maltrattamenti in famiglia.

Un fenomeno in crescita, quello della violenza sulle donne, come testimoniano i dati dell’ultimo “Rapporto annuale sul fenomeno della violenza contro le donne” presentato dalla Regione Marche a novembre del 2018 (dati al 31 dicembre 2017). Nelle Marche nel 2017 sono state 409 le donne che si sono rivolte ai cinque centri anti violenza presenti sul territorio per chiedere aiuto.

I dati nazionali non fanno eccezione nel fotografare un quadro inquietante: secondo l’Istat (“I numeri della violenza” presentato il 6 marzo 2019) il 31,5% delle donne nel corso della loro vita hanno subito violenza fisica o sessuale. Violenze che spesso vengono perpetrate fra le 4 mura domestiche (5,2% dal partner attuale e 18,9% da ex partner). Dati che hanno spinto il Governo ad intervenire.

Ma di fatto cosa cambia?
«Innanzitutto, vengono individuati una serie di reati già esistenti come maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne, violenza sessuale di gruppo, stalking – spiega l’avvocato Tiziano Luzi -. In questo gruppo vengono fatti rientrare reati introdotti ex novo dallo stesso provvedimento di legge come il Revenge Porn, ovvero la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e quello di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso».

Il legale di Coturfidi, Tiziano Luzi

Oltre all’inasprimento delle pene, è prevista una corsia preferenziale dal punto di vista processuale nella trattazione da parte degli organi inquirenti che avrà «notevoli conseguenze dal punto di vista pratico», precisa il legale: «Si prevede che la polizia giudiziaria debba comunicare al pubblico ministero la notizia di reato, ovvero l’informazione che il reato è stato commesso, “immediatamente anche in forma orale”, quindi, con una notevole accelerazione dei tempi rispetto ai comuni reati, per i quali la comunicazione al Pm deve avvenire semplicemente “senza ritardo”». Una volta che il Pubblico Ministero riceve la comunicazione del reato «ha l’obbligo di ascoltare la vittima entro 3 giorni, e ciò a differenza degli altri reati per i quali non vi è alcun obbligo da parte dello stesso Pubblico Ministero».

Una rapidità che viene imposta anche alla polizia giudiziaria che «deve compierli senza ritardo, mentre per i reati comuni non vi è alcuna prescrizione sui tempi di compimento».

Particolarmente rilevante, sottolinea l’avvocato Luzi, il fatto che per questa tipologia di reati «l’istituto della sospensione condizionale della pena sarà subordinato alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per tali reati». «Al fine di assecondare l’allarme sociale derivante dalla commissione di reati da parte di soggetti già indagati per stalking viene introdotto un nuovo reato che colpirà, in particolare, chi violi il divieto di allontanamento dalla casa familiare o di avvicinamento alla vittima» evidenzia il legale nel sottolineare che è stato introdotto ex novo un altro reato, ovvero quello che punirà coloro che con violenza o minaccia, «costringono una persona a contrarre matrimonio o unione civile, dove è evidente l’esigenza di protezione della volontà, generalmente di una donna, spesso minorenne, costretta, per motivi religiosi o di etnia, a contrarre matrimonio con una persona non voluta – precisa Luzi – . Difficile fare un pronostico sulla effettiva efficacia delle disposizioni introdotte, soprattutto di quelle che promettono un accorciamento dei tempi di accertamento del reato. L’esigenza della ragionevole durata dei processi si è subito manifestata dopo pochi anni dalla introduzione dell’attuale codice di procedura penale (datato 1988) e da allora ogni tentativo normativo di risolvere il problema è andato fallito. Il rischio concreto – conclude il legale –  è quello che, sulla spinta emotiva derivante dalla diffusione mediatica di alcuni procedimenti, si predispongano normative che permetteranno efficacemente di perseguire solo alcuni tipi di reato, che nell’opinione pubblica hanno molta rilevanza, ma che dal punto di vista oggettivo hanno un impatto sulla società minore, o comunque uguale, rispetto ad altri che, invece, sembrano essere relegati al “dimenticatoio”. Penso ad esempio ad alcuni di quei reati contro il patrimonio che non vengono attenzionati dall’opinione pubblica come le truffe, le insolvenze fraudolente, le appropriazioni indebite, che di fatto non vengono quasi più perseguiti dalle procure, nonostante la loro incidenza sull’economia reale, soprattutto in periodi di crisi senza uscita come l’attuale».

IL PARERE DEL LEGALE DI “DONNE E GIUSTIZIA”
Critico il commento di Myriam Fugaro, avvocato dell’associazione “Donne e Giustizia”: «Il codice rosso approvato al Senato si concentra sugli aspetti penali delle violenze subite dalle donne all’interno delle relazioni affettive, in particolare con l’inasprimento delle pene – osserva – . Personalmente non prediligo questa soluzione. Il processo penale è una strada possibile per la tutela delle donne vittime di violenza. Sicuramente la più delicata: c’è il problema delle prove (non sempre facili da ottenere se la violenza viene perpetrata all’interno delle mura domestiche), c’è il problema della credibilità della donna, nel senso che spesso non viene creduta e questo rende inefficace ogni tipo di intervento penale. Ma c’è anche il problema della sicurezza dopo che la donna ha sporto denuncia». Le donne vittime di violenza hanno invece bisogno di «una serie di interventi che vanno ben oltre la sfera penale, evidenzia il legale -. Serve un sostegno generale in tutto il  percorso di uscita dalla violenza e di recupero della propria autonomia. Servono in particolare persone (agenti delle forze dell’ordine, assistenti sociali, psicologi, Ctu, magistrati) preparati e formati sulla violenza di genere, altrimenti le donne non troveranno mai giustizia all’interno delle aule di tribunale. Servono inoltre interventi di sensibilizzazione perché la cultura patriarcale del possesso e del controllo sono alla base della violenza».

Myriam Fugaro, presidente del Centro Anti Violenza di Ancona

Necessari anche «finanziamenti ai centri antiviolenza – sottolinea la Fugaro – e investimenti nel welfare. Senza questi interventi strutturali, il codice rosso rimarrà semplicemente uno slogan, ma le donne continueranno a subire violenza. I dati ci dicono che il fenomeno è consistente, in aumento, con episodi sempre più gravi. Solo in Ancona lo scorso anno (2018) si sono rivolte al centro antiviolenza 157 donne, con un incremento considerevole rispetto agli anni precedenti. Le storie sono sempre più pesanti. Mi pare utile sottolineare come sia aumentato anche il numero delle giovani donne che subiscono violenza. Questo dato è particolarmente preoccupante e ci fa ritenere quanto sia importante l’aspetto culturale per contrastare un fenomeno così grave».

 

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