Ancona-Osimo

Svelate ad Ancona sette pietre d’inciampo, in memoria delle vittime del nazifascismo

Sabato 27 si ricorderanno le vittime dell'Olocausto e questa mattina (25 gennaio) sono state svelate le nuove sette installazioni, realizzate dall’artista tedesco Gunter Demnig in via Isonzo, via Astagno e via Santa Margherita

Pietre d'inciampo in memoria di Guido Lowenthal ed Eugenia Carcassoni ad Ancona

ANCONA – Dante Coen, Guido Lowenthal, Eugenia Carcassoni, Elsa Zamorani, Achille Guglielmi, Gino Guglielmi e Gino Tommasi sono le vittime dell’Olocausto a cui sono state dedicate sette pietre d’inciampo, installate in via Astagno, via Santa Margherita e via Isonzo. Questa mattina (25 gennaio), alla presenza delle autorità cittadine e di alcuni studenti del liceo Rinaldini, le pietre sono state svelate e, a 73 anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, il ricordo dell’orrore e dell’abisso causati dall’antisemitismo e dalla predicazione dell’odio razziale, è ancora vivo.

Pietra d’inciampo in memoria di Dante Coen

La prima pietra inaugurata è in memoria di Dante Coen, titolare di una ditta per il commercio di articoli coloniali, alla quale dovette cambiare nome e ragione sociale in seguito ai «Provvedimenti sulla razza». Con la crisi degli affari, lasciò Ancona e si trasferì a Milano. Qui fu arrestato e a piedi scalzi fu portato nel carcere di San Vittore dai soldati SS. Coen lasciò la moglie con cinque figli, di cui il maggiore di 9 anni. Aveva desiderato ardentemente una figlia femmina, ma riuscì a viverla per soli 33 giorni. Deportato ad Auschwitz il 2 agosto 1944, morì a Buchenwald il 4 aprile 1945.

Ornella Coen, figlia di Dante Coen

«Mio padre desiderava tanto una figlia femmina – ha raccontato questa mattina la figlia Ornella Coen – ma è potuto starmi accanto solo per i miei primi 33 giorni. La mancanza di un padre è grande e ogni volta che ci penso mi commuovo. La cosa che però mi fa stare più male è pensare alla sofferenza che lui e i deportati hanno subìto. Ancora purtroppo l’antisemitismo è diffuso e credo sia giusto informare e sensibilizzare i giovani sulla tragedia della Shoah».

Sempre in via Astagno, sono state svelate due pietre per ricordare i coniugi Guido Lowenthal ed Eugenia Carcassoni, residenti nell’arteria principale del vecchio ghetto, in via Astagno, morti ad Auschwitz. Su di loro le leggi razziali si abbatterono con particolare veemenza e il capofamiglia Guido, «bancarellaro» con il primogenito Ivo vissero l’odissea dell’internamento: Isola del Gran Sasso, Gioia del Colle, infine Urbisaglia. Entrambi rimasero prigionieri fino al 25 luglio del 1943 quando gli ebrei italiani del campo vennero dimessi. Si trasferirono ad Appignano ma il 19 febbraio 1944, giorno del matrimonio di Ivo, una macchina della polizia al servizio del governo di Salò si fermò davanti alla casa degli sposi e mentre tutti si nascosero, Eugenia Carcassoni, semiparalizzata, non riuscì a sfuggire perché impossibilitata a muoversi. Udendo gli urli disperati della donna Guido Lowenthal uscì dal nascondiglio e si offrì di prenderne il posto. Per la polizia fascista però egli diventò solo un altro ebreo da arrestare. Guido ed Eugenia partirono verso Auschwitz il 5 aprile con il convoglio numero 9. Al momento dell’arrivo, il 10 aprile, Eugenia Carcassoni era già spirata, incapace di resistere alle atroci condizioni del viaggio date le critiche situazioni di salute. L’anziano Guido venne immediatamente assegnato alle camere a gas.

In via Isonzo una pietra d’inciampo è invece stata installata in memoria di Gino Tommasi, partigiano e una delle figure più in vista della Resistenza nelle Marche, che morì a Mauthausen nel 1945. Per le sue qualità umane, le sue capacità organizzative e il suo prestigio, alla sua memoria fu conferita, nel dopoguerra, la Medaglia d’oro al Valor militare. Motivo della ricompensa: «Tenente colonnello di artiglieria di complemento, fu tra i primi a partecipare alla lotta partigiana con instancabile attività e sprezzo del pericolo. Organizzò e comandò la Brigata garibaldina marchigiana. La sua forte personalità divenne il centro di attrazione per tutti coloro che sceglievano la via del dovere. Catturato dal nemico che vedeva in lui il simbolo della resistenza partigiana e sottoposto alle più atroci torture, serbava fieramente il silenzio, riuscendo altresì ad avvertire i compagni dell’incombente pericolo. Tra i deportati in Germania manteneva alto con l’esempio il nome d’Italia, finché la sua eroica vita fu troncata dagli inauditi stenti del campo di Mauthausen».

Gunter Demnig, artista tedesco

E infine in via Santa Margherita (Villa Gusso) si ricordano i coniugi Achille Guglielmi (morto durante l’arresto nel 1943) ed Elsa Zamorani e il figlio Gino Guglielmi (morti ad Auschwitz nel 1944). Ad Ancona, nei primi anni venti, il medico Achille Guglielmi aprì una casa di cura (Villa Bianca) e creò nella città la prima colonia elioterapica. Dopo essere stato presidente dell’Ordine dei medici di Ancona dal 1931, venne cacciato dall’Ordine al varo delle leggi razziali del ’38. Essendogli vietato tornare ad Ancona, nel ’42 vendette Villa Santa Margherita (oltre un milione di lire) che la comprò un suo collega, il quale ne fece una casa di cura. Negli ultimi mesi della vita visse a Castiglione de’ Pepoli (BO) dove morì nel dicembre del ‘43. La sua morte per infarto fu legata all’imminenza dell’arresto che coinvolse la moglie Elsa e il loro figlio Gino, entrambi catturati tra dicembre e gennaio, deportati e uccisi ad Auschwitz.

Queste sette pietre che, sono state realizzate dall’artista tedesco Gunter Demnig, sono sanpietrini di piccola dimensione ricoperti di ottone con un’incisione che ricorda nome, data di nascita e di morte della vittima, in molti casi anche il luogo della deportazione. «Queste sette pietre – ha dichiarato Antonio Mastrovincenzo, presidente del Consiglio regionale, durante un momento di preghiera in sinagoga – servono per non dimenticare il volto e le storie delle persone vittime della persecuzione nazifascista. Oggi c’è ancora molto da lavorare perché nel dibattito politico si continuano a sentire frasi che fanno riferimento alla razza». «Le pietre non sono un monumento, né sono vistose, ma sono piccole e parlano della quotidianità – ha detto Paolo Marasca, assessore alla Cultura  – perché ricordano persone che sono state strappate alla propria quotidianità. Anche la nostra vita prosegue per inciampi e ha bisogno di tutta la veglia che possiamo dedicarle. Installare una pietra d’inciampo è un gesto di costruzione del futuro».

Nahmiel Ahronee, ministro di culto, e Manfredo Coen, presidente della comunità ebraica di Ancona

«La tragedia del popolo ebraico è stata generata dall’odio – ha sottolineato Nahmiel Ahronee, ministro di culto della comunità ebraica di Ancona – Dio è amore e l’odio è la mancanza assoluta di Dio». Il ministro di culto ha ricordato «l’espressione di speranza» che gli ebrei cantavano prima di essere uccisi «ANI MAAMIN BE-VIATH HA-MASHIACH, io credo nella venuta del Messia. Un canto che testimonia la fede e la speranza». Manfredo Coen, presidente della comunità ebraica di Ancona, si è rivolto agli studenti presenti: «Purtroppo la macchia dell’antisemitismo si sta allargando in Europa e dobbiamo tenere alta l’attenzione. Voi giovani siete la nostra speranza, informatevi e conosciate a fondo la storia».

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