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Pillola abortiva, rete femminista verso unione con Umbria, Abruzzo e Piemonte. L’onda della protesta a Fermo

Le donne della rete femminile stanno mettendo in cantiere iniziative con i movimenti di altre regioni per portare avanti una battaglia comune per la legge 194. Ecco la fotografia della situazione

Ascoli, protesta in difesa della legge 194

ANCONA – La rete femminile delle donne marchigiane “Molto più di 194” continua a dare battaglia sui diritti e dopo la manifestazione che si tiene oggi a Fermo, altre sono in cantiere in vista dell’appuntamento dell’8marzo, quando si celebra la giornata della donna.

Alcune iniziative potrebbero svolgersi con le donne dei movimenti per i diritti femminili di altre regioni, dove è in atto una battaglia contro le politiche antiabortiste. L’obiettivo della rete marchigiana “Molto più di 194” è quello di unirsi ai gruppi umbri, piemontesi e abruzzesi per mettere in atto iniziative di protesta comuni. Insomma una onda lunga di protesta che attraversa in maniera trasversale le regioni dove la 194 è sotto i riflettori.

A far scattare le proteste nella nostra regione, sono state le decisioni assunte dalla Giunta regionale delle Marche dopo che l’assessore alla Sanità Filippo Saltamartini aveva annunciato che l’aborto farmacologico con la Ru486 (pillola abortiva) non sarà eseguito nei consultori della regione. L’assessore aveva motivato la scelta della Giunta spiegando che «le linee guida del ministero non sono fonti del diritto» e che quindi non sono vincolanti.

Per questo il 6 febbraio un migliaio di donne sono scese in piazza per tenere accesi i riflettori sulla legge 194 che regola il diritto all’aborto e per difendere il loro diritto di dire no, anche se dolorosamente, ad un figlio.
A far infuriare le femministe marchigiane erano state anche le dichiarazioni rilasciate nell’Aula del Consiglio regionale dal capogruppo di Fratelli d’Italia, Carlo Ciccioli, che aveva affermato la necessità di puntare su politiche volte alla natalità per scongiurare il rischio di una «sostituzione etnica».

Una situazione, quella nelle Marche, che era già complessa ancora prima dell’arrivo della Giunta targata Acquaroli sul fronte del diritto di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, non solo con  metodo farmacologico, a causa del numero elevato di medici obiettori di coscienza, come avevano rilevato le aderenti alla rete femminile “Le donne avanzano” e “Collettivo femminile”.

Questi movimenti avevano denunciato che i consultori erano stati portati dalle giunte di centrosinistra allo «stremo» e che il livello di obiezione in alcune province rende praticamente impossibile esercitare questa possibilità.  Andando a guardare i dati emerge che nel 2018 gli obiettori di coscienza rappresentano il 69,3% dei ginecologi, il 43,3% degli anestesisti e il 28,8% del personale non medico nelle Marche. Numeri che hanno fatto superare alla nostra regione la media nazionale che si attesta al 69,0%.

Critica la situazione all’ospedale di Fermo, dove i 12 ginecologi sono tutti obiettori e quindi non vengono effettuate IVG (interruzioni volontarie di gravidanza): le donne di questa provincia devono recarsi nelle strutture del maceratese. Ma a Macerata non va meglio perché gli obiettori sono l’80,0%. Ad Ascoli Piceno l’obiezione di coscienza tocca quota 72,2%, nell’Anconetano 69%, mentre nel Pesarese il 53,8%.

Accanto a questo si registra un calo nel numero complessivo
dei ginecologi che scendono da 153 del 2015 a 134 del 2017 di cui
solo 39 sono ginecologi non obiettori: in pratica solo 37 effettuano l’IVG,
poco più di uno su quattro. Insomma un diritto, quello di ricorrere all’aborto che è spesso un percorso ad ostacoli, come fanno notare le donne dei movimenti femminili.

Ma la rete femminista ricorda ancora l’omelia del novembre scorso recitata dal vicario del vescovo di Macerata che aveva suscitato choc per aver definito l’aborto «il più grave degli scempi» mettendolo a confronto con la pedofilia ed elogiando poi la legge polacca che impedisce di abortire feti malformati.

Loredana Galano di Altra Idea di città, movimento aderente alla rete femminile “Molto più di 194″, affronta il tema della proposta di legge riguardante “norme in materia di consultori familiari”, di cui il presidente del Consiglio regionale Dino Latini è primo firmatario, che punta alla possibilità di stringere convenzioni con le realtà associative e all’integrazione tra le tante attività del consultorio pubblico con quello privato.

Una proposta che come afferma Loredana Galano «vuole non tanto velatamente snaturare le caratteristiche peculiari dell’intervento socio-sanitario consultoriale, attraverso la conversione dei consultori pubblici in agenzie ideologiche per aggredire e rendere inattuata la legge 194».

«Possiamo solo immaginare l’accoglienza che riceveranno le donne, che per motivi più disparati sceglieranno di interrompere la gravidanza – prosegue – , a quale pressione e colpevolizzazione potrebbero essere esposte, quanta empatia e sospensione del giudizio riceveranno da parte di chi non si pone il minimo dubbio sull’aggressione psicologica di campagne pubblicitarie mistificatorie e oscurantiste. Senza considerare la valutazione che cotanti “professionisti” potrebbero effettuare nei casi di violenza domestica, dove l’interesse supremo sarebbe quello della salvaguardia dell’unità familiare a discapito della scelta di uscire dalla relazione violenta da parte della donna, a protezione anche dei figli».

Secondo l’esponente del movimento femminista «la destra di questa regione, e non solo, mostra la profonda relazione esistente tra l’estremismo becero della destra oscurantista e la ferocia dell’ integralismo cattolico.
Il progetto politico è rappresentato non solo dalla negazione, o addirittura dall’annullamento, di diritti fondamentali come la libertà di scelta delle donne sul proprio corpo, ma anche la riproposizione di un modello di donna che è corpo di servizio per il lavoro riproduttivo e produttivo.
Una donna costretta ad abdicare dallo spazio pubblico per ritirarsi nello spazio privato, dove accudimento e cura della famiglia rimangono l’unico frammento di welfare possibile».

Un «attacco a una legge simbolo del femminismo», la 194 conquistata in «anni di dure battaglie e ancora in fase di compimento», per questo le donne marchigiane non mollano e annunciano che «ancora una volta le donne sapranno r-esistere».

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