Ancona-Osimo

Granchi blu al largo della costa marchigiana. Lazzari: «Anche 6-7 kg nelle reti»

I pescatori hanno iniziato a vedere il granchio blu nelle reti circa 4 anni fa, ma se prima era un ritrovamento sporadico, adesso sta diventando più frequente. Ne abbiamo parlato con il biologo Roberto Danovaro

I pescatori a bordo del Leviathan (il peschereccio di Apollinare Lazzari)

ANCONA – Entra nelle reti a gabbia o resta impigliato nelle reti a strascico. È il granchio blu, una specie autoctona delle coste atlantiche del continente americano, che negli ultimi anni si sta diffondendo anche nel continente europeo e che si comincia a trovare anche al largo della costa marchigiana.

Apollinare Lazzari, presidente della Cooperativa Pescatori di Ancona

«Abbiamo iniziato a vedere il granchio blu nelle reti da pesca da tre – quattro anni, ma se prima era un fatto sporadico, da questo inverno invece in una giornata di pesca possiamo prenderne anche due – tre cassette pari a circa sei – sette chili» dice Apollinare Lazzari della cooperativa produttori pesca di Ancona. «Li vediamo a circa sei chilometri dalla costa, ma non a terra» dice, mentre in Toscana la laguna di Orbetello è stata invasa da questa specie aliena che «mangia tutto quello che trova: i pesci nelle reti, le vongole, le cozze, il granchio blu è molto resistente. Da noi per fortuna per ora non stanno facendo danni».

«Questa estate per ora ne vediamo pochi – spiega – in ogni caso si vendono bene all’ingrosso, c’è una discreta richiesta, anche perché è buono da mangiare, è saporito». Non solo granchio blu, nel mare Adriatico davanti alla costa marchigiana è sempre più consistente anche la presenza del «tonno rosso». «Fino a qualche anno fa – spiega Lazzari – da noi era difficile vederlo, mentre adesso negli ultimi tre – quattro anni ne vediamo veramente tanti».

Prof. Roberto Danovaro (foto: Univpm)

«La diffusione del granchio blu (Callinectes sapidus, il nome scientifico) è l’effetto del cambiamento climatico – dice il professor Roberto Danovaro docente dell’Università Politecnica delle Marche e membro del Centro Nazionale Biodiversità – si tratta di una specie tropicale, non indigena, definita anche specie ‘aliena’, molto invasiva, che arriva dall’Atlantico Tropicale e dal Golfo del Messico. I primi ritrovamenti sono avvenuti una decina di anni fa sulle coste del Nord Africa, dove ha stravolto le attività di pesca e cambiato anche le abitudini alimentari».

Il riscaldamento della temperatura del mare sulla spinta del cambiamento climatico è responsabile della diffusione nel mediterraneo di un migliaio di specie aliene sulle 17mila presenti in queste acque, ma tra queste «il granchio blu è quella che possiamo usare meglio, potendola controllare con il più grande predatore: l’uomo». Questa specie dall’Africa è risalita fino alla Sicilia per approdare nel Mar Adriatico e nel Mar Tirreno. «Un fenomeno avvenuto anche in passato per altre specie come il barracuda – dice Danovaro – , che dal sud del Paese si è diffuso fino al Nord insediandosi in Liguria».

In Tunisia lo hanno introdotto nell’alimentazione, racconta Danovaro, arrostendolo alla brace, da noi, trattandosi di un crostaceo già presente in numerose ricette, basta pensare ad esempio agli spaghetti al granchio, può essere più semplice mettere in campo una azione di «contenimento di questa proprio attraverso il consumo umano, mangiandolo».

Insomma, «l’uomo è l’unica speranza per contenere questa specie molto vorace che sta determinando l’alterazione dell’ecosistema marino». Oltre a far entrare questa specie nei nostri ricettari, secondo il professor Danovaro «è utile sviluppare una collaborazione con il mondo della pesca artigianale e sostenibile, per l’utilizzo di attrezzi selettivi che minimizzino gli effetti sulle altre specie, concentrandosi sulle specie più invasive». I «pescatori come paladini» a tutela dell’ecosistema.

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