Ancona-Osimo

Dpcm, Staffolani di UnivPm: «Alla riduzione dell’attività produttiva potrebbe seguire effetto rimbalzo»

Il preside della Facoltà di Economia dell'Università Politecnica delle Marche spiega l'impatto che potrebbe avere il nuovo Decreto sulla situazione economica regionale

Coronavirus (Foto di fernando zhiminaicela da Pixabay)

ANCONA – «Le perdite economiche accumulate si possono recuperare, il problema è capire come affrontare il “durante” e per quanto tempo si dovrà andare avanti con le restrizioni. In ogni caso è probabile che la situazione possa migliorare almeno a primavera inoltrata, grazie alle misure di contenimento prese con l’ultimo Dpcm, ai vaccini che dovrebbero arrivare e al clima più caldo». Il preside della Facoltà di Economia dell’Università Politecnica delle Marche, Stefano Staffolani, interviene sul nuovo Dpcm che suddivide il Paese, a seconda del livello di rischio, in zone gialle (rischio moderato), arancioni (rischio medio-alto) e rosse (rischio alto). Una divisione che colloca le Marche in area gialla e quindi soggetta a prescrizioni più soft rispetto a quelle imposte nelle altre zone.

«Anche se attualmente la mortalità è più limitata rispetto ai mesi di marzo e aprile grazie a cure più efficaci, era necessario intervenire per le difficoltà presenti all’interno delle strutture ospedaliere che sono nuovamente oberate – spiega l’economista – . La ratio del Dpcm è stata quella di garantire una presa in carico non solo dei malati covid, ma anche di quelli affetti da altre patologie. Certo è che qualsiasi misura intrapresa per limitare la diffusione del virus comporta una riduzione dell’attività economica. Si sarebbe dovuto agire nel periodo estivo, prendendo misure specie sul fronte dei trasporti, nodo critico, e sul contact tracing che attualmente risulta inadeguato rispetto all’obiettivo del contenimento dei focolai».

Stefano Staffolani

Secondo il professor Staffolani il Dpcm «non avrà grandi ripercussioni sul fronte economico se le misure permarranno fino al 4 dicembre, eccetto che per alcune categorie di operatori, come bar, ristoranti e negozi. Perdite alle quali il governo speriamo faccia fronte con contributi per le categorie colpite». L’alternativa sarebbe stata quella di «accettare la diffusione incontrollata del virus, con conseguenze comunque negative sul sistema economico, come documentato dalle esperienze di quei paesi che hanno seguito vie più soft per contrastare la pandemia». L’auspicio è che le nuove misure “funzionino” nei tempi previsti e che non proseguano anche nel periodo natalizio «quando il danno economico sarebbe enormemente più grande visto il tradizionale rialzo dei consumi».

Secondo l’economista, se non è pensabile che le nuove misure portino ad abbattere drasticamente il numero dei contagi, la speranza è che permettano di raggiungere «una situazione più sostenibile in tempi relativamente brevi». Le Marche sul fronte economico non si differenziano troppo dal resto del Paese per le perdite subite durante il lockdown: «Le tensioni economiche derivanti dal primo confinamento hanno portato a una perdita in termini di Pil in linea con quella nazionale, parzialmente controbilanciata dalla successiva crescita durante il periodo estivo. Se ricoveri e contagi dovessero però continuare a crescere, anche le strutture ospedaliere marchigiane andrebbero in difficoltà e questo potrebbe comportare nuove misure con effetti economici rilevanti. In ogni caso all’attuale riduzione dell’attività produttiva potrebbe seguire un effetto “rimbalzo”. A differenza del primo lockdown, con questo Dpcm l’attività economica industriale e i servizi anche nelle regioni “rosse” non si fermano, non vivremo ancora una vera paralisi del sistema produttivo, quindi la caduta economica sarà sicuramente più contenuta».

Il rischio, secondo il preside, è che se le misure adottate dovessero dover diventare ancora più restrittive allora «le contestazioni che abbiamo visto negli ultimi giorni in alcune zone del Paese, potrebbero diffondersi ulteriormente con conseguenze sulla coesione sociale e forse sulle capacità produttive del sistema Italia».

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