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Covid-19, Clementi duro con il Dpcm: «Stop al terrore. Le attuali terapie possono risolvere l’infezione»

Il direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano ricorda che la mortalità è del 2-3% e che l'aumento dei ricoveri in ospedale è dovuto alla mancanza di assistenza domiciliare

ANCONA – «I tre diversi Dpcm emanati in poco meno di 20 giorni per contenere l’infezione da covid-19 non consentono di poter verificare l’efficacia delle misure adottate in un lasso di tempo così ristretto».

Interviene così il professor Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano dopo il nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, varato il 25 ottobre.

«Con l’aumento dei casi hanno ritenuto di dover intervenire in maniera più importante – spiega il virologo -, ma ritengo che le misure messe in atto non siano sufficienti a contenere l’epidemia, mentre sono certamente dannose dal punto di vista economico perché vanno ad impattare su più di una categoria di imprenditori e di piccole aziende». Insomma secondo il professor Clementi gli interventi messi in atto non solo «non saranno in grado di fermare l’epidemia che ormai è esplosa», ma si riveleranno deleteri per la situazione economica e occupazionale del Paese.

Il nodo cruciale della questione risiede nell’elevato numero di asintomatici, che hanno fatto e stanno facendo da veicolo al virus, «senza consentire più alcuna possibilità di un tracciamento efficace» visto il diffondersi della pandemia. Ma che significa essere asintomatico? «Gli asintomatici – spiega – sono una popolazione eterogenea: ci sono quelli che non infettano o infettano poco, perché hanno una bassa carica virale, e gli asintomatici che infettano molto, ma non si vede che sono malati perché stanno bene». Insomma «una popolazione sfuggente perché non mostra i sintomi della malattia».

Una condizione che secondo il virologo spiegherebbe la maggior parte delle infezioni avvenute nelle persone che sostengono di aver sempre indossato la mascherina e di aver sempre curato l’igiene delle mani: «In genere sono stati contagiati dagli asintomatici che sono dei grandi diffusori del virus. Ecco perché l’epidemia è ripartita».

Massimo Clementi
Massimo Clementi, direttore Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale San Raffaele di Milano

Riuscire a bloccare una situazione di questo tipo «con misure parziali, di cui non si comprende bene il significato, non credo sarà possibile, basta vedere cosa sta succedendo negli altri paesi europei, dove l’epidemia sta avanzando – spiega -: inoltre cosa cambia chiudere un locale alle 18? Perché non le 20 o le 23?». Nonostante i numeri in crescita, se da un lato occorre stare in guardia e rispettare le misure (mascherina, distanziamento e igiene delle mani), dall’altro lato emerge che «la stragrande maggioranza dei soggetti infettati o non ha sintomi o ha sintomi lievi, come un pò di febbre per due o tra giorni, mal di ossa e dolori muscolari, o altri fastidi generici, mentre solo una piccola parte è malata in maniera consistente ed ha bisogno dell’ospedale, tant’é che l’alto tasso di ospedalizzazione che si ha in questi giorni è dovuto in parte anche a ricoveri che potrebbero essere evitati se ci fosse una adeguata assistenza domiciliare».

Secondo il professor Clementi, molti dei ricoveri ospedalieri non ne avrebbero necessità, perché, o si tratta di persone che non potevano restare isolate in casa propria per gli spazi ristretti, o si tratta di anziani che vivono soli e non avrebbero assistenza nella propria abitazione: «Per questo vengono ricoverati anche se la condizione clinica non lo richiederebbe». Inoltre, evidenzia, «la mortalità negli ospedali si è ridotta rispetto al mese di marzo, quando era intorno al 15-16% per passare al 2-3% attuale», un ulteriore dato incoraggiante.

«Una situazione con luci ed ombre – osserva -, ma non dobbiamo farci prendere dal terrore» spiega il virologo, lanciando una stoccata verso chi usa toni eccessivamente allarmistici. La strategia del tracciamento, secondo il virologo, è ormai saltata perché il virus si è ormai troppo diffuso, a questo punto la strada da percorrere è quella di «riservare alle categorie fragili tutta l’attività diagnostica: eseguire i tamponi sulle persone a rischio e sui loro contatti, mentre per gli altri si possono utilizzare i test antigenici rapidi, che anche se non sensibili come i tamponi molecolari possono servire in quelle situazioni in cui c’è meno pressione, così come i test salivari, che però devono essere ancora validati». Una divisione, quella in fasce di rischio della popolazione, che consentirebbe anche un risparmio in termini economici.

Cosa dobbiamo attenderci per i prossimi mesi? Il Natale sarà davvero salvo come ha detto Conte? «Non andremo ai mercatini di Natale – spiega -, auguriamoci di passare un Natale più sereno possibile, sperando che la pandemia sia in discesa. Non posso pensare ad una scuola dove la didattica a distanza sia al 75%  e le università vuote: questa non è la scuola. Certe abilità possono essere acquisite solo in presenza, come si fa in una condizione così? In ogni caso un altro lockdown lungo non è praticabile, non ce lo possiamo permettere, mentre uno breve sarebbe inefficace e dannoso. Gli esperti dicono che una chiusura di due settimane ha bisogno di due mesi per far riprendere l’economia: serve piuttosto responsabilità e far capire alle persone che l’infezione si può affrontare e risolvere con le attuali terapie».

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