Cultura

Ancona, l’ex assessore alla Cultura Marasca e il suo ultimo libro: «In politica? Parole importanti quanto le azioni»

Il terzo romanzo di Paolo Marasca è tratto da una storia vera e dedicato al suo amico Pino. Le amministrative di Ancona? «Dispiace per il risultato»

Paolo Marasca
Paolo Marasca, assessore alla Cultura del Comune di Ancona

ANCONA – Si chiama “La casa delle parole” il nuovo libro di Paolo Marasca (edito da Milieu), che ha così firmato il suo terzo romanzo, disponibile su Amazon e in tutte le librerie. L’ex assessore alla cultura del Comune di Ancona, che fino a qualche giorno fa sedeva a Palazzo del Popolo, è reduce da 10 anni di mandato.

Il suo libro parla di Giuseppe, filosofo e psicologo che viene colpito da un ictus. La malattia compromette la sua facoltà di parola e le parole – di conseguenza – gli usciranno a caso. «Un covo di serpi si è annidato nel punto esatto in cui il linguaggio nasce. I suoi amici più cari lo sorreggono e, nel frattempo, affrontano il lutto per la parola di un compagno che per loro è sempre stato un riferimento, mentre il mondo scientifico e culturale ne prende le distanze, non sapendo come maneggiare un filosofo senza parole».

«Improvvisamente, tutto è messo in gioco dall’ingovernabile che si è imposto nelle vite di un gruppo di persone che avevano sempre fatto conto sulla parola come forma principale di legame: inizia un lungo viaggio, interiore e reale, alla ricerca di nuove, fragili forme di relazione. La casa delle parole è un libro sull’amicizia, sull’accoglienza, e sul desiderio che cerca la sua strada nonostante tutto».

Marasca, quando ha trovato il tempo per un libro?

«Durante il periodo del coronavirus, perché l’assessore è un ruolo particolarmente impegnativo. Il mio primo libro è uscito nel 2010 e il secondo nel 2013».

Poi, diventò assessore nella giunta Mancinelli…

«E infatti non ho più scritto fino a due anni fa, quando ho avuto il covid. Ho approfittato di quel periodo, stavo a casa e scrivevo».

Nella sua vita, le parole sono importanti?

«Da sempre, tantissimo. Io sono una specie di grafomane, scrivo in continuazione, prendo appunti costantemente e ho sempre lavorato con le parole sin da quando ero ragazzo, esercitando il gesto dello scrivere in tutto ciò che facevo».

Il gesto dello scrivere?

«Sì, per me è un gesto e le parole sono forse la cosa più importante della mia vita».

Quale è la parola a cui è più legato?

«Questa è una domanda difficilissima (esita, ndr). Il concetto a cui sono più legato è quello di amicizia».

Io però ho chiesto ˈla parolaˈ…

«Ce ne sono così tante di parole a cui sono legato che non mi vengono in mente. Sa, la parola è come un quadro. Solo quando è davanti a te, puoi accorgerti di quanto sia esteticamente bella».

La parola che le ha fatto più male?

«Una piccola frase: portato via. È successo che mi è stato detto che mi avevano portato via delle cose che per me erano importanti».

Si può parlare senza farlo? I silenzi valgono più dei discorsi?

«Questo non lo so, ma dipende da come le parole vengono usate. I silenzi possono parlare più (o meno) dei discorsi. E le persone possono parlare in tanti modi. Anzi, direi piuttosto che le persone possono esprimere sé stesse (e il proprio desiderio) anche in assenza di parola. Con la parola è tutto più difficile, noi uomini parliamo, siamo immersi nel linguaggio e questo complica le cose».

Nell’era digitale, con Whatsapp e le emoji, si parla meno?

«Io credo ci sia un’inflazione di parole. E quando c’è l’inflazione, le parole valgono meno».

In politica le parole valgono più o meno delle azioni?

«Sono fondamentali sia le parole sia le azioni. Senza azioni, le parole sono vuote. Se nella vita quotidiana le parole sono anche atti e azioni, in politica le parole devono corrispondere a qualcosa che si fa».

Nel libro si parla pure di amicizia, vero?

«Sì, la considero un sentimento essenziale della mia vita. Sono stato fortunato ad essere educato da genitori che sin da subito mi hanno insegnato l’importanza di questo sentimento. Personalmente, ho avuto (ed ho) amicizie importantissime».

A chi dedica questo romanzo?

«A Pino, un mio amico, il protagonista della storia da cui nasce il romanzo».

Quindi è una storia vera?

«Sì, ma solo fino ad un certo punto. Il racconto nasce da una storia realmente accaduta. Ho scritto tutto con una certa urgenza: quando è successa questa cosa, noi amici ci siamo presi cura di lui».

Che mi dice del risultato delle comunali? Dopo 30 anni di centrosinistra, Ancona avrà un sindaco di centrodestra, Daniele Silvetti…

«Però questa domanda non è inerente al libro (ride, ndr)».

Marasca, risponda, non ha via d’uscita…

«Guardi, come assessore alla cultura, sono molto fiero di quello che è adesso l’ufficio cultura e sono convinto che – comunque – potranno fare grandi cose. Per il risultato, beh, dispiace, perché probabilmente chi ha vinto le elezioni ha anche delle direzioni culturali (giustamente) differenti. Ancona è una città ricca di talenti e di personalità e mi auguro che chi arriverà sia in grado di farli lavorare il più possibile».

Ci sarà ancora – tra qualche anno – un altro Paolo Marasca in politica?

«Non mi aspettavo di entrare in politica nel 2013, quindi non saprei dirlo. Certo è che io amo molto il lavoro con (e per) la comunità. Quindi, se dovesse capitare ancora di lavorare per la comunità nei settori che io conosco, sarò pronto a farlo».

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