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Monoclonali, nelle Marche curate 530 persone, 117 in AV 2. Giacometti: «Il 92% non viene ricoverato. Efficacia buona»

Da marzo di quest'anno nelle Marche sono state curate con gli anticorpi monoclonali 530 persone. Il report su impiego ed efficacia in Area Vasta commentato dal professor Giacometti

Plasma

ANCONA – Sono 530 nelle Marche i pazienti positivi al SARS CoV-2 trattati con gli anticorpi monoclonali (dato al 20 novembre), 117 dei quali in Area Vasta 2. «Il 92% circa dei pazienti non viene ricoverato – spiega l’infettivologo Andrea Giacometti – e considerato che si tratta di pazienti a rischio, anziani e con diverse patologie, avere questa percentuale di pazienti che ritorna a casa, senza essere ricoverato è una buona cosa».

Più di un centinaio di questi trattamenti sono stati infusi all’Ospedale regionale di Torrette, 117 in Area Vasta 2 e il resto negli altri centri: Marche Nord, Inrca, Area Vasta 1, Area Vasta 3; Area Vasta 4 e Area Vasta 5. Il primario della Clinica di Malattie Infettive di Torrette, evidenzia che «con questi numeri siamo sopra la media nazionale e fra le regioni migliori come somministrazioni e organizzazione».

Il trattamento, impiegato per evitare l’ospedalizzazione dei pazienti affetti dal virus, nelle prime fasi della malattia (virus individuato da non più di 10 giorni), viene somministrato a pazienti Covid positivi con obesità, diabete, patologie croniche importanti come quelle a cuore, polmoni, reni, a persone trapiantate e immunodepresse. 

Andrea Giacometti, primario Clinica di Malattie Infettive dell’ospedale regionale di Torrette

«L’efficacia è abbastanza buona – prosegue il professor Giacometti – aspettiamo che arrivino i farmaci antivirali che potrebbero avere anche una efficacia maggiore, ma non arriveranno probabilmente prima dell’inizio dell’anno prossimo».

A tracciare il report sull’impiego dell’anticorpo neutralizzante il virus Covid-19 somministrato tramite flebo in ospedale, in Area Vasta 2 è invece Giovanni Guidi, direttore dell’Area Vasta 2. Dei 117 positivi trattati con monoclonali, 8 hanno richiesto l’ospedalizzazione.

All’Ospedale Carlo Urbani di Jesi dal 19 marzo scorso ad oggi sono 66 i pazienti infusi con monoclonali presso il reparto di Medicina Interna: di questi pazienti 46 presentavano sintomi (più frequentemente febbre, tosse, astenia), e 21 di loro 4 o più sintomi della malattia.

Complessivamente sono state trattate 41 donne (61,5%) e 25 uomini (38,5%), con età media di 73 anni. 41 pazienti avevano ricevuto il vaccino. Solo 1 paziente ha avuto effetti collaterali durante l’infusione, con crisi ipertensiva, ma a parte questo in linea generale a 7-10 giorni dalla somministrazione il 50% dei pazienti era negativo al tampone e tutti sono risultati asintomatici, fatta eccezione per 15 persone che hanno continuato ad avere dispnea.

Giovanni Guidi
Giovanni Guidi, direttore Area Vasta 2

Dal report emerge poi che la media dei giorni necessari per la negativizzazione dei tamponi è stata di 17 e che per 5 pazienti trattati con i monoclonali, il 7%, si è resa necessaria l’ospedalizzazione, mentre l’intervallo medio di tempo tra la seconda dose di monoclonale e la reinfezione è stato di 6,15 mesi.

All’Ospedale di Senigallia gli anticorpi monoclonali sono stati infusi presso l’Unità Operativa di Medicina Interna, che ha prodotto un percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) sulle modalità di selezione, accesso, infusione e follow up dei pazienti che eseguono la terapia. Il report mostra come da alcune settimane «c’è stato un notevole aumento delle richieste; sono state eseguite, in media, 2 infusioni al giorno».

Sono 42 i pazienti trattati con i monoclonali e solo 2 hanno avuto bisogno del ricovero (entrambi erano non vaccinati e con infusione eseguita alla scadenza dei 10 giorni).

A Fabriano la somministrazione dei monoclonali si è concentrata nel periodo 27 marzo – 27 aprile. Complessivamente sono stati trattati 9 pazienti di età compresa tra 50 e 85 anni affetti da comorbidità oncologiche, cardiovascolari, obesità grave e diabete, infusi presso la sede dell’Hospice, attiva in quel periodo come “Area Buffer” per pazienti Covid positivi. L’ultima infusione è stata eseguita l’8 settembre su un uomo di 85 anni.

Solo 1 dei 9 pazienti ha richiesto l’ospedalizzazione dopo 24 ore dalla somministrazione del monoclonale per peggioramento del quadro respiratorio polmonare ed è deceduto per infarto miocardico nei giorni successivi, Un ulteriore paziente, affetto da patologia oncologica metastatica, ha richiesto ricovero ma per cure di supporto.

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