Ancona-Osimo

«Non riesco più a dormire, sono in ansia per la mia famiglia in Afghanistan», l’appello di Alì da Senigallia

39 anni, a Senigallia dal 2015, Alì ci ha raccontato la sua apprensione per la famiglia di origine rimasta nel Paese tornato sotto l'egida dei Talebani. Ecco la sua storia

Alì, 39 anni di origine Afghana

ANCONA – «Non riesco più a dormire, sono in ansia per quello che sta succedendo in Afghanistan e per la mia famiglia ancora lì». Alì, 39 anni di nazionalità Afghana, residente a Senigallia dal 2015, descrive con queste parole la sua apprensione per quanto sta accadendo nel suo Paese.

Dall’Afghanistan, di nuovo sotto il controllo dei talebani, giungono immagini che mostrano la rapida ascesa al potere delle milizie islamiste radicali, deposte 20 anni fa dopo gli attentati agli Stati Uniti avvenuti l’11 settembre 2001.

Migliaia di persone domenica scorsa si sono riversate all’aeroporto di Kabul per tentare la fuga dalla repubblica Islamica: alcuni sono riusciti a salire a bordo dell’aereo militare Usa C-17 Globemaster atterrato poi in Qatar, mentre altri, in un gesto di disperazione estrema, si sono attaccati agli aerei trovando la morte dopo il decollo dei mezzi.

Alì, ex interprete dell’Esercito Italiano e laureato in Scienze Politiche in Afghanistan, il 18 febbraio del 2015 aveva deciso di lasciare il suo Paese con la moglie e un bimbo di 6 mesi, giungendo nelle Marche, a Senigallia, alla ricerca di un futuro migliore e più sicuro per sé e per la sua famiglia.

E proprio nella cittadina della spiaggia di Velluto, nel 2017 ha aperto un mini market dove ha assunto un suo connazionale. Intanto la sua famiglia a Senigallia si è allargata ulteriormente, e qui, in Italia, è nato l’altro suo figlio che oggi ha 2 anni.

Il pensiero di Alì però volge inevitabilmente all’Afghanistan dove vive parte della sua famiglia: nella repubblica Islamica restano ancora 3 sorelle e 3 fratelli, mentre un quarto fratello è arrivato ieri allo Sprar di Roma insieme alla moglie. Gli altri, inclusi i suoi genitori, però vivono nascosti nel suo Paese.

«I miei familiari vivono tutti nascosti in casa» racconta, spiegando che  «i Talebani hanno chiuso tutte le strade e vanno di casa in casa a cercare chi ha collaborato con l’Occidente, per questo, per non farsi trovare, la mia famiglia si sposta dalla casa di un fratello a quella di un altro ogni giorno». Cooperanti, traduttori, interpreti, tutti quelli che hanno lavorato con gli occidentali sono “ricercati” dai Talebani.

Alì ci spiega di sentirsi al sicuro in Italia e di appartenere, insieme alla sua famiglia di origine, alla fede sciita e all’etnia Hazāra, un gruppo che nei secoli scorsi costituiva la maggiore etnia dell’Afghanistan, ma che a causa delle continue persecuzioni da parte dei Talebani oggi rappresenta circa il 9% della popolazione afghana. Vittime di ripetuti genocidi, sono perseguitati per motivi religiosi ed etnici dai Talebani.

«Sono molto in ansia per la mia famiglia – prosegue -, i Talebani fingono di essere cambiati rispetto a 20 anni fa, affermano che non faranno del male a nessuno, ma hanno già ucciso delle persone». E proprio in questi giorni Amnesty International ha denunciato in un rapporto che 9 uomini Hazara sono stati uccisi tra il 4 e il 6 luglio nel distretto di Malistan.

Secondo Alì però i morti sarebbero già più di 25: «Ho un fratello che per lavoro fa il musicista e il cantante, sono molto preoccupato per lui, perché per i Talebani, per il lavoro che svolge, è un miscredente e quindi la sua vita è a rischio. Alle donne – prosegue – non danno il permesso di indossare i jeans, mentre gli uomini devono farsi crescere la barba».

Con i suoi familiari si sente ogni giorno: «Non sempre hanno la connessione Internet attiva, ma cerco di chiamarli ogni giorno, specie mio fratello minore, quello che fa il cantante, per sapere come stanno». Una famiglia di laureati la sua, con una sorella medico, una ostetrica, costretta a vivere rinchiusa in questi giorni di terrore.

Alì si è attivato con la Caritas per portare il fratello giunto ieri a Roma a Senigallia, così da potersi riunire, ma intanto rivolge un appello al Governo Italiano ad accogliere i profughi.

Molti non hanno il passaporto per scappare e gli aeroporti sono chiusi, per questo «c’è chi nel Paese organizza la fuga al costo di mille euro, anche senza passaporto, ma non c’è la certezza di uscirne vivi e di riuscire a scappare effettivamente dall’Afghanistan. Molte famiglie sono rimaste senza soldi, e non possono più acquistare cibo perché le banche sono chiuse: sto cercando di mandare soldi ai miei familiari e spero di riuscire a farglielo avere».

«Prego Dio ogni giorno che la mia famiglia si salvi, e al Governo Italiano chiedo di salvarli e di aiutare le etnie minoritarie ad uscire dal Paese – conclude -.Possono dare protezione e aiuto, perché quanto sta accadendo in Afghanistan è terribile».

Ti potrebbero interessare