OSIMO – L’Italia registra un altro minimo delle nascite e il quadro fosco riguarda anche Osimo. Nel comune si registra meno 6,2 per cento tra i nuovi nati nel 2023 e i nuovi nati del 2022, che sono passati da 228 a 214. Se rapportate ad un trend temporale più lungo (2019) le nascite registrano una diminuzione del 23 per cento.
Secondo i dati forniti dall’Ufficio Anagrafe comunale, il 2023 evidenzia a Osimo un leggero aumento di popolazione passata da 34mila e 598 a 34mila e 870 abitanti (pari a 272 persone in più, 0,79 per cento). Un dato positivo che non deriva dalla differenza tra nati e morti che registra un dato negativo (meno 125) ma dall’incremento di quanti hanno deciso di prendere la residenza ad Osimo, 429 persone, e più in generale dal saldo positivo tra nuove iscrizioni anagrafiche e cancellazioni che registra un saldo di più 397.
Al 31 dicembre 2023 a Osimo gli uomini sono 17mila 140 (49,15 per cento della popolazione) mentre le donne 17mila 730, pari al 50,85 dell’intera popolazione. Il saldo naturale (differenza tra il numero dei nati ed il numero dei morti) è per negativo. Osimo su questo non fa eccezione e la contrazione del movimento naturale (meno 125 unità) è in linea con la media nazionale ed è determinata dal forte squilibrio fra le nascite (214) e i decessi (339). Il tasso di natalità di Osimo è 6,14 (il dato nazionale è pari al 6,67) mentre il tasso di mortalità si assesta a 9,72, di molto più basso rispetto alla media nazionale che è di 12,12. Il movimento migratorio interno, quello proveniente da altre città, di altre parti d’Italia è più 8,1 un dato che può essere letto come buona capacità attrattiva interna: Osimo e la qualità del vivere del suo territorio richiamano. Il saldo migratorio con l’estero, che misura la differenza tra il numero degli iscritti per trasferimento di residenza all’estero ed il numero dei cancellati per trasferimento di residenza all’estero è pari a più 3,60, inferiore alla media nazionale.
Le parole del vicesindaco Andreoni
Il pensiero del vicesindaco Paola Andreoni: «In Italia abbiamo un’emergenza che viene, purtroppo, poco considerata: l’emergenza demografica. Anche per il 2023 viene registrato l’ennesimo nuovo minimo delle nascite. Gli italiani scendono sotto i 59 milioni, nonostante il contributo degli stranieri (pari all’8,7 per cento), l’età media sale a 46,4 anni, il nostro Paese registra per ogni bambino con meno di sei anni la presenza di oltre 5 anziani (5,6), quando nel 1971 si contava un anziano per ogni bambino. Questa è la fotografia che restituisce l’Istat sulla base dei dati forniti dall’ultimo censimento. Dati che devono fare riflettere tutti, e questione che deve trovare spazio anche tra i temi della prossima campagna elettorale amministrativa, con scelte politiche per sostenere ancor più le famiglie, con particolare riguardo alle donne, sulle quali, nella stragrande maggioranza dei casi, grava ancora il peso della conciliazione casa-lavoro. La denatalità esprime un disagio delle famiglie, e la si può affrontare soltanto “insieme” come società. Altri Paesi europei come la Germania sono riusciti a invertire la curva negativa della natalità con politiche di welfare molto più attente, articolate e concrete rispetto a quelle spesso dispersive e caratterizzate dall’estemporaneità dei bonus, del nostro Paese. Questo è un compito di cui deve prendersi carico la politica, senza soluzione di schieramenti: la denatalità è una delle zavorre che mette fortemente a rischio il futuro del nostro Paese. Anche un’amministrazione comunale può fare la sua parte, come rimettere al centro i giovani: una precisa direzione di futuro che occorre darsi. Investimenti a favore dei servizi per l’infanzia, un sistema di welfare articolato, dedicato alle mamme e ai papà coinvolgendoli in maniera diretta e attiva nell’assumere in modo condiviso il loro doppio ruolo: genitoriale e lavorativo. L’adozione di misure volte all’inclusione sociale, il sostegno all’abitare, all’handicap e interventi rivolti alle famiglie più numerose. Per non dimenticare, poi, gli investimenti sull’istruzione e sul diritto allo studio, ben consapevoli che è dalle scuole, dalle università e dai luoghi del sapere che si può riattivare l’ascensore sociale, ormai troppo arrugginito, e si possono cominciare a combattere le diseguaglianze. Tutto questo però da solo non basta, se non c’è un ripensamento anche su scala nazionale e globale di società, che metta al centro una cultura capace di dare spazio e di riscoprire il valore delle relazioni e della pluralità».