Cultura

A 140 anni dalla nascita di Joyce, il prof McCourt dall’UniMc: «L’Ulisse ci spinge a pensare»

Intervista al direttore del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Macerata, considerato uno dei massimi esperti mondiali dell’opera di Joyce

MACERATA – Che cosa può accomunare la città di Macerata al celebrato scrittore James Joyce di cui proprio oggi – 2 febbraio – ricorre il 140° anniversario della nascita? Apparentemente nulla. E però, da qualche mese la città ha l’onore di avere alla guida del Dipartimento di Studi Umanistici della sua Università proprio un irlandese come lo era Joyce: il prof. John McCourt. Ordinario di letteratura inglese, John Francis McCourt è oggi considerato uno dei massimi esperti mondiali dell’opera di Joyce. Alcuni mesi fa, ha offerto un’importante chiave di lettura del romanzo di Joyce nel suo «Ulisse» di James Joyce. Guida alla lettura”. E a giorni andrà in libreria con un decisivo, specialistico volume dal titolo: «Consuming Joyce; 100 Years of Ulysses in Ireland».

Il prof. John McCourt

Cominciamo allora dalla più ovvia domanda: Cosa può dirci ancora Joyce? Il prof. McCourt non ha dubbi: «Joyce ci lascia un’eredità sconfinata, che continuiamo a scoprire. L’Ulisse, pubblicato cent’anni fa, ha rivoluzionato la forma del romanzo tradizionale e ha rivelato la complessità, la bellezza – ma anche i limiti – dell’essere umano e del linguaggio che abbiamo a disposizione per capirlo. L’Ulisse ci spinge a pensare, fornendoci gli strumenti per leggere la società che ci circonda». Nato 140 anni fa a Dublino, James Joyce fu uno scrittore anticonformista. Drammaturgo, poeta, appassionato della lingua, della sua musicalità e della sperimentazione, ha catturato a partire dagli anni Cinquanta l’interesse di numerosi studiosi à la page. Tra questi, il semiologo Umberto Eco e il compositore Luciano Berio. La storia di questa passione joyciana è nota: da essa sono nate avventure intellettuali che hanno forgiato la cultura italiana ed europea.

Ma, dirà il lettore, cosa c’entra Macerata? C’entra. Come dice McCourt, c’entra, perché il Dipartimento di Studi umanistici è proprio uno di quei luoghi dove avvengono incontri come quello fra il semiologo Eco e il musicista Berio: «Il Dipartimento di Studi Umanistici – spiega McCourt – è uno spazio aperto, multidisciplinare, che serve a capire che cos’è e a cosa serve l’Umanesimo. Ci si trovano tanti saperi: letteratura, archeologia, filosofia, storia, filologia, ma anche linguistica, semiotica, etnomusicologia. Il Dipartimento mette questi saperi in dialogo con gli studenti in modi impensati. È dalle possibili scintille che ci aspettiamo prenda forma un nuovo umanesimo. Come Direttore. vorrei tutelare e potenziare tutte le nostre specialità di ricerca; ma dovremo trovare modi originali, per inserirle nel dibattito sui cambiamenti della biosfera e dell’infosfera. Per questo è importante anche raccogliere la sfida di Joyce: occorre mantenere al centro la questione dell’uomo, che a volte viene minimizzata negli ambiti prettamente scientifici e tecnologici».

Un progetto ambizioso e coraggioso. Anche perché John McCourt arriva a Macerata in un periodo particolarmente delicato, con l’università italiana che attraversa una crisi profonda aggravata a Macerata da eventi particolarmente sfortunati: il terremoto del 2016 prima, e poi la pandemia del 2020. Quale speranza dare agli studenti che scelgono Studi Umanistici, professor McCourt? «Direi che le Università devono guardare sempre al bene comune, locale e globale. Nei secoli, si sono sempre reinventate proprio per trovare un senso al mondo che cambiava. Anche oggi noi siamo pronti. Chi si iscrive a Studi Umanistici cerca sempre una formazione di alto livello; ma si deve ricordare che da sempre la formazione universitaria è anche professionalizzante. Da otto secoli le università educano gli studenti a trovare sé stessi e, insieme, le competenze giuste per abitare e costruire il mondo. Qui a Macerata studenti e studentesse possono contare su una comunità che, benché ferita dal terremoto e dal Covid, cerca ancora nel nostro Ateneo un punto di riferimento e un vero cuore culturale. Da parte nostra, stiamo studiando modi nuovi per comunicare a tutti il senso del nostro lavoro intellettuale. Rendere leggibile quello che facciamo, e perché lo facciamo, non è un compito superfluo: è un arricchimento per il tessuto economico e culturale, ed è una missione fondamentale perché l’Ateneo e la città abbiano coscienza di sé e dei propri ruoli».

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