Ancona-Osimo

Save the children, il report che preoccupa: bambini in difficoltà tra isolamento e didattica online

È allarmante la fotografia scattata dall'organizzazione indipendente che analizza le conseguenze del lockdown sui minori ed evidenzia come un bambino su 5 in Italia non sia stato raggiunto dalla scuola. Crescono intanto i disturbi psicologici. Ne abbiamo parlato con gli esperti, ecco cosa ci hanno detto

Bambino compiti

ANCONA – I minori, sono loro i più colpiti dalle conseguenze dell’epidemia di coronavirus. È quanto emerge dal report di Save the children. Segregati in casa in seguito alla chiusura delle scuole e senza più opportunità di socializzare con i coetanei, di fare sport o altre attività extrascolastiche, sono piombati in un isolamento che sicuramente lascerà il segno nel tempo. Ma come trascorrono le giornate in casa?

Secondo la fotografia scattata dal report, realizzato su un campione di 1.003 minori tra gli 8 e i 17 anni, la metà dei ragazzi intervistati (51%)  naviga su internet, il 37% sta sui social e il 18% gioca online. Insomma lo smartphone si conferma il “compagno” di queste giornate trascorse senza amici e solo con contatti virtuali.

Ma all’isolamento si aggiunge purtroppo anche il rischio povertà. L’emergenza, con la chiusura delle attività produttive, ha messo in crisi molte famiglie specie monoreddito, ma anche quelle che vivevano facendo lavori precari: quasi la metà dei nuclei familiari intervistati (44,7%), con bambini tra gli 8 e i 17 anni, hanno dovuto ridurre le spese alimentari e il consumo di carne e pesce (41,3%), una famiglia su tre (32,7%) ha dovuto rimandare il pagamento delle bollette e una su quattro (26,3%) l’affitto e il mutuo, mentre il 21,5% non ha potuto acquistare farmaci necessari per la salute, dovendo rinunciare anche alle cure mediche.

Un milione di bambini in più rischiano di piombare nella povertà assoluta per colpa delle misure restrittive imposte per limitare la diffusione del coronavirus: un esercito che va ad aggiungersi ai 1,2 milioni di minori che sono già in condizioni di povertà assoluta. Insomma un quadro piuttosto critico per tante famiglie, con ripercussioni inevitabili sul benessere psicofisico dei bambini che sono come delle “spugne” ricettivi a quanto accade intorno a loro.

Una povertà che oltre ad essere economica rischia di sfociare in povertà educativa. Infatti a rendere la situazione ancora più complessa c’è anche la didattica a distanza che ha causato una sorta di divario fra chi ha i mezzi tecnologici per seguire e chi non ne dispone a sufficienza: 1 minore su 5 incontra maggiori difficoltà nel fare i compiti, un quadro ancora più critico riguarda i bambini con bisogni educativi speciali che fanno fatica a seguire le lezioni in modalità telematica.

Il rapporto di Save the children parla chiaro, secondo i genitori intervistati in Italia, la didattica a distanza ha peggiorato il ritmo scolastico dei figli nel 39,9% dei casi e sono in molti quelli vorrebbero un aiuto più consistente da parte degli insegnanti (72,4%), specie tra le famiglie che versano in condizioni di maggiore difficoltà socio-economica. Il 71,5% dei genitori chiede un accesso più semplice alla didattica, inoltre il 63,4% di loro ritengono le attività scolastiche più pesanti per i loro figli, difficili da seguire (53,9%) e eccessive (46,7%). Tutto questo suscita nelle famiglie il timore che i figli siano costretti a ripetere l’anno scolastico (un genitore su 20) o che possano lasciare la scuola, un  dato che nelle famiglie in maggiori difficoltà economica sale a quasi uno su dieci. Infine il 60,3% dei genitori crede che i figli avranno bisogno di supporto al rientro a scuola per recuperare gli apprendimento persi con la chiusura delle scuole.

E i diretti interessati, i bambini, che ne pensano? Uno su cinque riscontra maggiori difficoltà nel fare i compiti e il 22,4% di loro pensa di avere bisogno di maggiore supporto. Nella fascia d’età compresa tra gli otto e gli 11 anni, quasi uno su dieci non fa lezione o meno di una volta alla settimana, un dato che si abbassa ulteriormente (3%) nella fascia 12-14 anni, attestandosi all’1,3% tra i 15 e i 17 anni. Insomma la didattica a distanza mostra i suoi limiti soprattutto per i bambini più piccoli.

«Il report mette in evidenza la necessità di una politica mirata rivolta alla tutela di minori e famiglie che si trovano in difficoltà economica – osserva il Garante dei diritti Andrea Nobili -, un tema che è necessario torni al centro dell’agenda politica. Il Governo finora ha puntato l’attenzione sul fronte sanitario ed economico, ma ora occorre rilanciare anche quello sociale».

Didattica a distanza (ragazzi al pc)

«La percezione – prosegue – è che la didattica a distanza abbia bisogno di essere portata a regime, ma tante famiglie hanno difficoltà ad affiancare i  figli durante le lezioni o a fornirgli gli strumenti necessari, come pc o tablet con una webcam: ci sono bambini che costretti a seguire le lezioni sullo smartphone dei genitori. Stiamo cercando di dare contributi e siamo in relazione costante con l’Ufficio Scolastico Regionale e con l’Anci per trovare soluzioni, ma mancano ancora indicazioni precise a livello centrale, manca una cornice nazionale a cui fare riferimento».

Proseguendo sul fronte scuola, il Garante evidenzia che sono numerose le criticità irrisolte da tempo e presenti già prima dell’epidemia di coronavirus, fra le quali quella dell’edilizia scolastica, con le “classi pollaio” e la questione dell’agibilità sismica che in Italia vede solo un edificio su 3 a norma

Guardando invece ad un orizzonte temporale più ristretto emerge con forza il tema dei centri estivi ed educativi, necessari a garantire una risposta ai genitori che riprenderanno a lavorare, ma anche qui, evidenzia Nobili, «è necessaria una cornice nazionale per evitare di muoversi in maniera non omogenea. Mettere in sicurezza i minori non è semplice e richiederà risorse importanti», anche per fronteggiare il tema della mensa scolastica che con le riaperture a settembre molte famiglie saranno in difficoltà a pagare.

«Questi dati ci mostrano una realtà sommersa, offuscata dai tutorial per fare crostate e pilates in casa, dalle riunuoni via Skype – commenta la psicoterapeuta dell’età evolutiva Francesca Mancia – . Esiste un mondo infantile ed affettivo depresso e spaventato che sta emergendo e che ci interroga a livello istituzionale e di Governo. Famiglie che hanno molto sofferto in silenzio non solo per la paura del contagio ma anche per l’angoscia di perdere un precario equilibrio familiare anche di tipo economico. I bimbi osservano tanto quanto gli adolescenti la sofferenza dei loro genitori, vivono sulla loro pelle la fatica nel fare la spesa, la difficoltà nel seguire i loro figli negli apprendimenti.

È chiaro quanto sia assolutamente necessario avviare al più presto specifiche procedure di supporto economico e psicologico alle famiglie in difficoltà, individuare percorsi socio-educativi in grado di far emergere il disagio anche attraverso l’apertura di ludoteche, centri estivi, spazi di aggregazione».

Secondo la psicoterapeuta la scuola «potrebbe registrare e segnalare il calo degli apprendimenti richiesti dando spazio alla esplorazione del contesto ambientale attorno al bambino. In questa fase – prosegue – l’istituzione scolastica dovrebbe cioè fungere da osservatore privilegiato della realtà familiare dei minori seguiti individuando non tanto solo il dato performante ma soprattuto il disagio psichico di infanzia ed adolescenza.

Mancando un controllo sociale ed anche la rete di supporto civile i minori rimangono silenziosi a casa e sviluppano depressione o reazioni di tipo oppositivo-provocatorio. In questi due mesi abbiamo lasciato molto soli i minori, attivati da una scuola alle prese con una didattica stringente o molto latitante, due modelli controproducenti ed in fondo solo sulle spalle delle famiglie che possono fare molta fatica a fornire risorse culturali, economiche ed affettive in tema di valutazione di altre istituzioni». Insomma per la dottoressa Mancia si ripropone per certi versi quanto accadde dopo il secondo conflitto mondiale «quando i centri psicoanalitici attivarono molte esperienze di supporto all’infanzia traumatizzata», come ad esempio le esperienze di Anna Freud e di Melanie Klein.

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