Senigallia

Stephan, la sua storia e la staffetta dei cittadini per aiutarlo

Vicenda a lieto fine per l'uomo di origine slovacca che, dopo mesi a Senigallia è riuscito a tornare a Bratislava. Ad aiutarlo nell'impresa, alcuni senigalliesi che hanno fatto il possibile per dargli una mano a tornare ad una vita normale

Quilly e Stephan

SENIGALLIA- Stephan è tornato a casa. È partito ieri mattina dopo un’esperienza in Italia. Aveva parcheggiato la sua roulotte a fianco all’edicola “Quilly’s” di via Raffaello Sanzio. Aveva chiesto aiuto a Simone ‘Quilly’ Tranquilli, titolare dell’edicola, poi, con il passare del tempo i due sono diventati amici. Nei giorni scorsi ‘Quilly’ aveva scritto un post dove cercava due trolley. Nei commenti qualcuno aveva chiesto a chi fossero destinati e subito era arrivata la risposta: “A qualcuno che ne ha bisogno“.

Ieri mattina, sul profilo social dell’edicolante, conosciuto in città, oltre che per le sue tante iniziative solidali, anche per le sue performance sui social come ‘Diretta Locandine’, è comparsa la storia di Stephan, una persona che per mesi è rimasta a Senigallia, invisibile agli occhi di tanti.

Il racconto di Simone ‘Quilly’ Tranquilli

«Quando due mesi e mezzo fa la Bea (Beatrice Brignone segretaria di Possibile) mi scrisse che Stephan e il suo cane Maffy avevano bisogno di un posto per parcheggiare la roulotte e mi chiese per conto di un’associazione che conosceva, se potevano parcheggiarla a fianco alla mia edicola, risposi si. Del resto sono anni che sento la marmaglia urlare “Portali a casa tua” quando si ragiona di accoglienza e di integrazione e dato che quel pezzo di terra brullo e spelacchiato è un po’ casa mia, dal momento che ci pago un affitto, ho pensato che bisogna essere coerenti con le proprie idee e fa poca differenza che Stephan non sia un migrante dell’Africa Nera ma un homeless di razza ariana – racconta Quilly – Ci avevano parcheggiato per settimane turisti e proprietari di case vacanze, non mi sono opposto a far parcheggiare lì qualcuno che come alternativa sarebbe dovuto andare a dormire per strada o in ricoveri di fortuna. Quella roulotte, per quanto non nuovissima, aveva una parvenza di casa. Mi avevano parlato di lui alcune persone di un’associazione che gli stava fornendo un aiuto fondamentale, e dopo pochi giorni la sua roulotte era parcheggiata lì, a fianco al mio chiosco davanti la chiesa Santa Maria della Pace. Io e Stefan per circa un mese ci siamo studiati. “Ciao e buongiorno”: qualche caffè, qualche colloquio a gesti e poco altro. Lo guardavo con attenzione, non perchè non mi fidassi di lui, ma perchè non mi ero mai trovato a frequentare così da vicino una persona che vive in uno stato di grande indigenza. Stephan mi ha insegnato molto. Per prima cosa qualche parola di slovacco, l’unica lingua che parla, visto che nonostante alcuni anni di Italia, l’italiano per lui resta ancora uno scoglio non facile da superare. Mi ha fatto capire che esistono un’aritmetica della povertà, una geometria della strada, una poesia della solitudine e una filosofica ricerca del sorriso ad ogni costo. Nel corso del tempo siamo diventati amici, ultimamente ormai era, non di rado, dentro la mia edicola e sorridevamo spesso di episodi capitati qua attorno che lui, con il suo tono di voce baritonale che si sentiva da centinaia di metri, specie quando telefonava, ripeteva in loop. Il suo motto era, “piano piano”, l’elogio della lentezza e della costanza. Mi parlava, attraverso i vocali di ‘Google Translator’ di castelli e dei boschi di montagna della sua Slovacchia e delle macchine sportive per cui ha una passione assoluta. Non è stato sempre facile. A volte si è intestardito, con chi gli ha dato una mano, nel fare cose che non si potevano fare. Ha litigato, ma poi è tornato sui suoi passi perchè “Stefan bravo non posso fare guerra sempre”. Stefan bazzicava Marotta, il Lidl dove qualcuno gli regalava qualche moneta e qualcosa da mangiare. Lui con Maffy non chiedeva niente, dispensava sorrisi e saluti con sincera simpatia. Al Lidl di Marotta lo conoscono tutti e tutti o quasi, sono stati sempre generosi con lui. In questi ultimi giorni è riuscito ad avere un aiuto decisivo per tornare a Bratislava, la capitale del suo paese dove probabilmente lo aspetta un lavoro non so se più o meno duraturo. Oggi (il 20 dicembre) lo abbiamo salutato, l’ho visto salire sul bus destinazione Marotta con due trolley e un borsone della Vigor (ex squadra di calcio) che gli ha regalato Rita delle arance. L’ho visto salire mentre parlava, come al solito urlando, al telefono con qualcuno dall’altra parte nel suo italiano di verbi all’infinito e non più di venti parole. Stephan nella sfortuna di una vita difficile, è stato fortunato ad aver incontrato delle persone come quelle dell’associazione che lo ha aiutato e come i tanti marottesi che gli hanno sempre dato una mano spesso decisiva. L’associazione ha fatto di tutto per cercare di rimetterlo sui binari di una vita normale senza farlo adagiare sugli allori. Un lavoro non semplice legato agli alti e ai bassi di una vita di stenti a livello stradale. Io e Stefan siamo diventati amici. Amici è una parola che per lui conta molto, più dei soldi, e la ripete in continuazione. La porta del bus si è chiusa dopo che gli ho lanciato dentro le borse, l’ho salutato mentre il pullman ripartiva e ho pensato che forse non ci rivedremo o forse sì. Ogni persona che incrociamo nella nostra vita ci insegna qualcosa. Qualcuna qualcosa di più. Ciao Stephan buon viaggio cavallo pazzo di Slovacchia».

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