Senigallia

I giovani e l’accoglienza: l’esperienza alla Caritas di Senigallia

Due settimane di vita vissuta al centro di solidarietà di piazza della Vittoria fianco a fianco con chi ha poco o nulla. La testimonianza

I giovani impegnati nel progetto di accoglienza alla Caritas di Senigallia
I giovani impegnati nel progetto di accoglienza alla Caritas di Senigallia

SENIGALLIA – Due le esperienze residenziali dedicate ai giovani che sono state avviate in queste due settimane di fine gennaio alla Caritas locale. Si tratta di un’iniziativa che vede i giovani maggiorenni al centro di un progetto per avvicinarli al volontariato, per spingerli a mettersi in gioco e vivere sulla propria pelle la quotidianità sociale del Centro di solidarietà.

I primi otto ragazzi – che provengono dal gruppo dell’Azione cattolica di Trecastelli – hanno vissuto insieme al Centro di solidarietà di piazza della Vittoria, la storica struttura della Caritas diocesana di Senigallia dedicata all’accoglienza e al sostegno dei poveri.

Sono stati impegnati per una settimana ciascuno in attività che vanno dal vivere nel punto di accoglienza di Senigallia, nel collaborare all’organizzazione delle attività del Centro di ascolto, nella gestione dell’armadio del povero per la raccolta e la distribuzione degli abiti, in generale in tutte quelle attività di accoglienza verso chi ha meno o non ha nulla.

Una sfida che ha lasciato il segno in tutti i ragazzi partecipanti al progetto intitolato “Altro al centro” perché con le centinaia di persone, italiani e stranieri, alla settimana che vengono accolte durante tutto l’anno è poi possibile condividere più di un piatto di pasta, più di un racconto durante il servizio mensa.

«Vivere una settimana al Centro di solidarietà – è la testimonianza di Gioele – smuove dentro, ti suscita tante sensazioni ed è emotivamente molto significativo, soprattutto rispetto al servizio di una sola sera o di un pasto. In una settimana gli estranei che vedi ogni giorno diventano quasi familiari e le relazioni guadagnano in profondità: è stato questo l’aspetto che più ha colpito me e il mio gruppo, cioè la bellezza del percepire come familiare chi non conosci, nonostante sia molto diverso e lontano da te».

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