Senigallia

Fondazione Città di Senigallia, cos’è successo e quali rimedi: intervista al direttore della clinica di malattie infettive di Ancona

«Usiamo troppi antibiotici - spiega il direttore della clinica di malattie infettive all'ospedale regionale di Torrette - e dobbiamo imparare che l'igiene è fondamentale per evitarne la diffusione»

La residenza protetta per anziani della Fondazione Città di Senigallia
La residenza protetta per anziani della Fondazione Città di Senigallia

SENIGALLIA – Mercoledì 4 aprile, in IV Commissione consiliare, si discuterà della vicenda interna alla Fondazione Città di Senigallia con l’infezione di alcuni ospiti a causa di un batterio diffuso nella residenza protetta per anziani. La richiesta è arrivata dai tre consiglieri comunali Roberto Paradisi, Luigi Rebecchini (Unione Civica) e Alan Canestrari (Forza Italia) che erano intervenuti sull’argomento e a cui aveva replicato il presidente dell’ente Michelangelo Guzzonato. Ma cosa è successo all’interno della struttura per anziani di via Cellini, un tempo nota come “ex Irab”? Lo abbiamo chiesto al docente ordinario di infettivologia dell’Università Politecnica delle Marche, professor Andrea Giacometti.

Professore, cosa si è verificato all’interno della residenza protetta per anziani della Fondazione Città di Senigallia?
«C’è stata la diffusione in sei pazienti di alcuni germi del noto “acinetobacter baumannii”, un genere di batteri Gram negativi multiresistente agli antibiotici. Si tratta in realtà di un batterio molto diffuso in natura, nell’acqua e nel suolo, per cui è difficile risalire alla fonte originaria. In ambito ospedaliero o sanitario è una delle maggiori cause di infezione, soprattutto nei pazienti lungodegenti».

Si può parlare di epidemia come riportato da tre consiglieri comunali di Senigallia?
«Direi di no, poiché la colonizzazione che si è verificata nella struttura senigalliese è molto circoscritta. Bisogna però dire anche che la colonizzazione non significa essere per forza malati: si può avere il batterio all’interno del proprio organismo senza però mostrare alcun sintomo di malattia, come se si fosse portatori sani. Nella struttura della Fondazione Città di Senigallia i pazienti sono stati isolati in stanze singole, cosa che difficilmente può avvenire negli ospedali per motivi logistici. Il personale sanitario ha avviato la procedura comunemente nota come “bolla di contenimento”. Oltre al monitoraggio costante, i pazienti vengono protetti da ulteriori infezioni che potrebbero complicare il quadro clinico con rischi anche molto gravi e le analisi vengono ripetute finché non si certifica la scomparsa del batterio. Solo allora il paziente potrà tornare nella stanza dove era prima dell’infezione».

Professor Andrea Giacometti, Direttore Clinica di Malattie Infettive degli Ospedali Riuniti di Ancona

Qual è l’indice di diffusione del batterio?
«È talmente comune che potremmo esserne infetti anche io e lei che parliamo, pur senza sapere di essere stati colonizzati. Può sopravvivere su varie superfici, sia asciutte che umide. Di solito ci si accorge dell’infezione a seguito di analisi con tamponi orali o rettali (per lo più interessa polmoni e intestino, Ndr) perché esistono disturbi o piccoli malanni che non si riescono a debellare con le classiche medicine. Un mal di gola, bronchite, sinusite o disturbi intestinali che durano parecchio, da qualche settimana a qualche mese, potrebbero essere indice di una contaminazione».

Come mai il batterio “dura” così tanto all’interno del nostro organismo?
«Solitamente il batterio viene combattuto e debellato autonomamente dal nostro organismo; però molto spesso negli ospedali o nelle case di cura, dove vi sono persone con ridotte difese immunitarie, possono circolare microrganismi che hanno “imparato” a resistere all’azione degli antibiotici, quindi non vengono eliminati da questi farmaci quando li utilizziamo. Ciò significa che è difficile e lungo il procedimento per eliminarli: a volte la nostra battaglia è senza successo perché contro l’acinetobacter baumannii – così come per i batteri dei generi pneumoniae e enterobacteriaceae – praticamente abbiamo le armi spuntate».

Un laboratorio della Clinica di Malattie Infettive

Si spieghi meglio..
«Essendo batteri multiresistenti ai nostri antibiotici, non riusciamo ancora a individuare una cura specifica: in pratica i batteri si sono evoluti tramite la selezione naturale, così come per ogni organismo. Tra i tanti sono sopravvissuti quei batteri che hanno sviluppato una resistenza agli antibiotici, e quindi alle nostre armi per debellarli, con il risultato che non abbiamo ancora soluzioni ben definite. Nella clinica malattie infettive all’ospedale Umberto I a Torrette di Ancona (FOTO) elaboriamo alcuni cocktail di antibiotici anche da 3-400 euro a fiala per sfruttare al massimo le caratteristiche di ciascun antibiotico, nella speranza che possa debellare il batterio multiresistente, ma capita frequentemente che le persone possano restare colonizzate per tempi lunghi, anche dopo la dimissione dalla struttura sanitaria».

Quindi che rimedi adottare?
«Diciamo innanzitutto che usiamo troppi antibiotici e questo vale per ciascuno di noi. Se ne usassimo di meno, non favoriremmo la resistenza dei batteri ad essi. Quindi sarebbe da intraprendere una scelta preventiva molto importante e ridurre al minimo l’uso di antibiotici: a volte si prescrivono con troppa facilità, altre volte siamo noi utenti a scegliere di usarne perché magari l’abbiamo già fatto in passato, anche se non ce ne sarebbe la necessità. Poi ci sono delle buone norme igieniche da osservare, soprattutto se si entra in case di cura o ospedale dove i pazienti sono già in qualche modo e in varie misure debilitati. Se tutti – sia il paziente, sia chi lo assiste, sia i parenti che vanno a trovarlo nella struttura – useranno alcune semplici precauzioni, la probabilità di trasmettere questi microrganismi sarà bassa. L’igiene delle mani è la misura più importante e non servono per forza prodotti a base alcolica specifici. C’è poi la pulizia dell’ambiente domestico, facendo attenzione alle superfici frequentemente toccate, come le maniglie delle porte, il letto, il comodino e i servizi igienici. Anche la biancheria personale e quella del letto possono essere veicoli di germi e batteri: non richiedono lavaggi separati ma è preferibile il lavaggio in lavatrice con acqua calda (50-60°) e detersivo. Evitare di scambiarsi bicchieri, posate e piatti durante i pasti è un’altra misura da tenere a mente, che poi andranno lavate a mano o in lavastoviglie. Così come non vanno scambiati gli oggetti per la cura personale come lo spazzolino da denti, i rasoi, gli asciugamani, le spazzole, ecc. Nel caso di contatto con persone le cui difese sono ridotte (immunocompromessi) è opportuno rivolgersi al proprio medico per avere ulteriori indicazioni ma teniamo conto che, se vengono rispettate le precauzioni di cui sopra, anche chi è stato precedentemente colonizzato o infetto può riprendere le normali attività quotidiane e le relazioni con le altre persone. Per i familiari e per coloro che collaborano all’assistenza è ovviamente da evitare il contatto con feci, urine e catarro: basterà indossare i guanti monouso e, dopo averli tolti, lavarsi le mani. L’ultimo consiglio è – dopo la colonizzazione -di cercare per quanto possibile di evitare l’uso di antibiotici per alcuni mesi, circa 6: in questo periodo l’organismo, fatti salvi altri episodi di contatto con persone infette, avrà il tempo per debellare il batterio autonomamente».

Per seguire i lavori della IV Commissione consiliare, che ha competenza in materia di servizi alla persona, basterà recarsi mercoledì 4 aprile, alle ore 18:30 nella sala polivalente del palazzo La Nuova Gioventù in viale Leopardi 6 oppure ascoltare la diretta streaming sulla piattaforma digitale senigallia.halleymedia.com.

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