Jesi-Fabriano

Passione, inventiva e amore per la propria terra. Gennaro Pieralisi e la sua vocazione imprenditoriale

A tu per tu con l'imprenditore di Jesi a capo del gruppo Pieralisi, il cui marchio è inciso nella stragrande maggioranza delle macchine olearie attive nel mondo: «Lottiamo sempre per vincere, sapendo che si può anche perdere»

L'ingegner Gennaro Pieralisi all'entrata del museo Federico II Stupor Mundi di Jesi che ha ideato e realizzato

JESI – Imprenditore si nasce. Imprenditore si muore. Nonostante le difficoltà, gli ostacoli, i rischi, le responsabilità. Per quelli come l‘ingegner Gennaro Pieralisi, il cui cognome è inciso sulla maggior parte delle macchine olearie attive nel mondo, è la passione per il proprio mestiere ad alimentare costantemente la creatività, rendendola tangibile. Un “impeto vocazionale” che consente, ogni giorno, di «lottare per vincere, sapendo che si può anche perdere». Del resto, dice lui stesso, «noi industriali siamo i soli a non andare in pensione. Con la tigna, e malgrado le criticità di questo Paese, restiamo nell’arena. E lì moriremo».

Riproduzione della macchina olearia Pieralisi

Oltre 600 fra lavoratori diretti e indiretti, un fatturato superiore ai 150 milioni di euro e una presenza globale: sono queste le componenti che permettono oggi al gruppo Pieralisi di essere leader mondiale nella progettazione e realizzazione di sistemi di estrazione dell’olio d’oliva. E non solo. La tecnologia “made in Jesi” viene utilizzata in svariati settori, compreso ad esempio il comparto petrolifero. «Il 75% dell’olio d’oliva prodotto nel mondo viene fatto con macchine Pieralisi», ricorda con orgoglio l’ingegnere Gennaro Pieralisi, classe 1938 e una laurea in ingegneria meccanica all’Università di Pisa.

Ingegner Pieralisi, cosa significa essere imprenditore, oggi?
«Chi fa l’imprenditore, in questo momento storico, dovrebbe essere ricoverato – è la sua sarcastica risposta -. Ciò che scongiura tale accadimento è solo la passione. Facciamo questo mestiere perché ci piace, amiamo il rischio, la lotta, sentiamo l’esigenza di confrontarci con altri come noi per vincere. Ma sapendo che si può perdere. Purtroppo viviamo in un Paese che spesso estromette chi, dopo aver rischiato per lui, la sua famiglia e la sua terra, non riesce a conseguire un buon risultato. È giunto il momento che qualcuno intervenga per restituire il giusto valore all’imprenditoria di questa nazione».

L’ingegner Gennaro Pieralisi

Cosa è cambiato rispetto al passato?
«Oggi è veramente rischioso fare questo mestiere. Le condizioni favorevoli, e penso in particolare alla finanza, non ci sono più. In questa provincia, trent’anni fa, vi erano sette banche locali. Adesso non ve ne è più nemmeno una: tutte sono state risucchiate dai grandi colossi europei e mondiali. La possibilità di ripartire è fortemente compromessa».

Ma c’è chi resiste alla “tempesta”, come il gruppo Pieralisi. Ci racconti un po’ la genesi della sua azienda..
«Tutto è partito da mio nonno, Adeodato Pieralisi, a Santa Maria di Monsano. Era il fabbro del Paese, ma si occupava un po’ di tutto. Si era specializzato, innovandosi continuamente, nella costruzione di macchine trebbiatrici, oltre ad avere un oleificio in casa e il mulino per il grano. Poi arrivò il secondo conflitto bellico, la distruzione. Tutto ciò che era stato costruito con fatica venne spazzato via. Ma ci fu la forza di ripartire. Mancavano i mezzi agricoli per lavorare la terra, così mio padre e i fratelli acquistarono alcuni cingolati di guerra facendoli diventare, grazie all’inventiva, alle competenze e alla determinazione, macchine di pace. Per la precisione, trattori. Ciò permise di ricostruire un po’ di quel benessere che ci era stato portato via. Le macchine per l’estrazione dell’olio d’oliva arrivarono subito dopo».

L’imprenditore Gennaro Pieralisi e l’enologo Carlo Ferrini

Il suo cognome è inciso sulla stragrande maggioranza delle macchine olearie del mondo. Che effetto le fa?
«Sicuramente è motivo di grande soddisfazione. Il 75% dell’olio d’oliva prodotto nel mondo viene fatto con macchine realizzate a Jesi. Il nostro più grande concorrente, al momento, sono paradossalmente le nostre macchine usate, che continuano a restare sul mercato. Tutte le novità introdotte negli ultimi decenni nel campo dell’olio d’oliva portano la firma Pieralisi. I concorrenti si sono limitati a copiare».

A proposito di olio, come sarà quello di quest’anno?
«Sarà un buon olio, seppur non in grande quantità. L’assenza della mosca porterà benefici in termini di qualità, ma chiaramente la siccità estiva inciderà sulla produzione».

Quanto conta il legame con il territorio per il gruppo Pieralisi?
«La nostra azienda è fatta di donne e uomini che vivono la propria città. Ho sempre pensato che il valore aggiunto a livello industriale sia dato dal dipendente che sente propria l’azienda, come fosse un patrimonio sia personale, alimentato anche dal suo contributo, che collettivo. Per quanto riguarda me, io sono nato qui, vorrei che le mie ossa, quando arriverà il momento, riposino per sempre qui».

Restando al contesto in cui vi muovete, come giudica la vicenda di Banca Marche?
«Vorrei tanto capire cosa è successo. Anche per questo siamo in causa con Banca Marche. Ho sottoscritto il capitale sociale di quell’istituto di credito, sempre nell’ottica di sostenere le imprese del territorio, dopo aver visto il suo bilancio approvato da Banca D’Italia, oltre a un prospetto sottoscritto da Consob. Dopo sei mesi mi hanno detto che era tutto falso. Possibile che gli organi di sorveglianza non si siano accorti di nulla? So bene di non poter recuperare più niente di quanto investito, ma sono stato fregato e voglio che si dica. Lo so, è una magra consolazione, ma ci tengo. È una questione di orgoglio».

La sede centrale del Gruppo Pieralisi a Jesi

Con Banca Marche se ne va l’ultimo istituto di credito locale di questo territorio, lei lo ribadisce spesso..
«Questa è solo l’ultima delle perdite, infatti. Avevamo le Casse di Risparmio di Ancona, Senigallia, Loreto, Jesi, Cupramontana, Fabriano, la Banca Popolare di Jesi e c’era il Mediocredito regionale. Sono state proprio le banche a permetterci di passare da territorio agricolo a una delle province più industrializzate d’Italia. Jesi era la piccola Milano delle Marche. Man a mano, tuttavia, è venuto meno il rapporto fiduciario, il valore della stretta di mano. Sono arrivati i rating, che non prendono in considerazione l’onestà delle persone. Ma solo i numeri, che non sempre dicono tutto di un’azienda e di chi quotidianamente lavora per farla funzionare al meglio».

C’è comunque chi non si arrende e, di sua tasca, stanzia un milione di euro per la realizzazione di un museo multimediale dedicato a Federico II. Come le è venuta l’idea?
«Tutto è nato chiacchierando con un amico. Un parte dei soldi proviene dalla Fondazione Marche: ne avevo chiesti due di milioni, ne ho ricevuti un po’ di meno (1,5 ndr.). Avevo comunque detto che avrei garantito il resto, e così ho fatto. Ci abbiamo messo del tempo per trovare la giusta collocazione, Comune, Regione, Fondazione Carisj e Fondazione Pergolesi Spontini ci hanno aiutato e abbiamo finalmente aperto lo scorso luglio. In questi tre mesi abbiamo abbondantemente superato quota 6mila visitatori, molti dei quali stranieri. Se le imprese calano, del resto, dobbiamo pure inventarci qualcosa. E il turismo può essere la risposta. Sarebbe interessante, pertanto, avere qualche altro museo per poter organizzare dei veri e propri tour in Vallesina. Ci si sta lavorando».

IL VIDEO DEL MUSEO CON L’INTERVISTA ALL’INGEGNER PIERALISI

Come sta Jesi, secondo lei?
«Jesi ha perso quasi tutto. In passato è stata il centro industriale dell’Italia centrale, penso alle macchine agricole, alle corde, alla seta. C’erano la sede della Banca d’Italia, dell’Enel, il tribunale. La prima camera del lavoro femminile è stata attivata qui, così come il primo centralino automatico d’Italia. C’erano lo zuccherificio, l’azienda che costruiva aerei e l’aeroporto. Poi si è scelto di concentrare tutto in Ancona, di renderla il fulcro della burocrazia. E della politica, quella meno illuminata. Ci è stato portato via tutto, compreso l’acquedotto. E fra poco toccherà alla discarica che, sono convinto, finirà in mano di qualche importante multi-utility del nord Italia. Sta a noi, dunque, reinventarci un mestiere. Per provare a ripartire».

L’imprenditore Gennaro Pieralisi e gli enologi Carlo Ferrini (maglia nera) e Simone Schiaffino in occasione della presentazione dei nuovi vini biologici di Tenute Pieralisi

Ultima domanda, più intima. Ci sono persone che le hanno cambiato la vita?
«Sì, tante, ma vorrei non citarle per non far torto a qualcuno che sicuramente dimenticherei. Questa è una città dove si vive bene, ho preso qualcosa da tutti coloro che ho incontrato negli anni. Personalmente, ho dato la mia vita per svolgere questo mestiere, che è quasi una missione. Di tempo libero ne ho avuto sempre poco, ma non mi lamento. Sono soddisfatto di quanto ho fatto. Sono convinto, infatti, che si debba sempre cercare di rendere l’ambiente dove si vive il più piacevole possibile. Spero di esserci riuscito».

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