Fabriano

Fabriano, le fotografie di Emanuele Satolli conquistano il Time

Il cellulare che squilla e un prestigioso settimanale d'informazione statunitense che ti affida ufficialmente l’incarico per completare il fotoreportage che era pronto da alcuni mesi, ma in Italia non era stato preso in considerazione. Ecco l'intervista a un "figlio" della frazione di San Michele

L'inferno a Mosul

FABRIANO – La vita può cambiare all’improvviso. Proprio mentre sei pronto a imbarcarti su un aereo per la Russia, dopo aver completato il tuo turno di lavoro come cameriere. Il cellulare che squilla e il Time che ti affida ufficialmente l’incarico per completare il fotoreportage che era pronto da alcuni mesi, ma in Italia non era stato preso in considerazione. Questa è la storia di Emanuele Satolli, 38 anni il 20 novembre prossimo, nato e cresciuto nella frazione di San Michele a Fabriano.

Emanuele Satolli

Emanuele, da dove iniziamo?
«Ho sempre amato la fotografia fin da quando ero piccolo. Un mondo che mi ha affascinato e mi ha portato, mentre frequentavo l’università a Perugia, a iscrivermi a un corso per perfezionare le tecniche di sviluppo. Poi, però, dopo essermi laureato, ho vissuto un anno in Guatemala. Al termine del quale, pur non avendo scattato nessuna foto, ho deciso che avrei voluto essere un giornalista».

Un’esperienza in Inghilterra, a Brighton per perfezionare la conoscenza della lingua inglese e poi la scuola di giornalismo a Torino..
«Nella scuola di giornalismo non esiste una specializzazione in fotografia. Dunque, mi sono perfezionato nella scrittura. Ho superato l’esame per giornalista professionista e ho trovato un lavoro a Milano, in un’agenzia di pubblicità, ero un copywriter. Eppure non mi sentivo al posto giusto: non era la scrittura la mia dimensione. Ho molto seguito le Primavere Arabe e sentivo che sarei voluto essere in quei luoghi. Ho preso il coraggio a due mani ed ho lasciato il lavoro sicuro per inseguire le mie vere aspirazioni».

Ed è stato subito un successo, giusto?
«Non direi, ma certamente non mi sono scoraggiato. Dovevo mantenermi, quindi ho trovato un lavoro come cameriere a Milano. Era l’ideale in quella fase della mia vita perché mi concedeva il tempo necessario per potermi perfezionare nei fotoreportage. Ho cercato storie e, poi, di farmi conoscere: imparare e creare un portfolio».

La prima svolta grazie a un collega cameriere..
«A fine turno mi ha chiesto se avessi visto il video della nuova terribile droga che stava spopolando in Russia dal 2011, la Krokodil. Un filmato che ben evidenziava il degrado di alcune zone della Russia dove il fenomeno della droga è molto comune. A fine 2012-inizio 2013, ho deciso di andare in Russia ed ho portato a termine il mio reportage. Tornato in Italia, l’ho fatto circolare, ma non è stato pubblicato. Decisi di tornare in Russia nell’ottobre del 2013, dopo aver letto un articolo sul Time nel quale si evidenziava che questa droga era arrivata anche negli Usa con alcuni casi segnalati a Chicago. Prima di partire ho scritto al Time facendogli presente che avevo già realizzato un reportage da poco tempo e che sarei tornato in Russia per completarlo. Nessuna risposta per alcuni giorni, poi otto ore prima di imbarcarmi, la telefonata con la quale mi hanno chiesto di realizzare il lavoro per loro. Poi pubblicato nel dicembre 2013 e che mi ha concesso di farmi conoscere a livello internazionale. Oltre al Time, alcune mie foto fino ad allora erano state pubblicare solo sul settimanale Io donna. Si trattava di scatti relativi alla comunità siriana in Italia».

Poi, il trasferimento a Roma e, poco dopo, la seconda buona intuizione della sua vita..
«Dopo un mio lavoro sugli immigrati nel Centro-America pubblicato sul Time, informandomi ho capito che il Medio Oriente poteva essere una buona base per i miei reportage. Ero indeciso se trasferirmi a Beirut o a Istanbul. Alla fine, nel maggio del 2015, ho optato per la Turchia. La questione dei profughi siriani e l’Isis, rappresentavano due storie che volevo assolutamente raccontare. Sono stato sei volte a Mosul in Iraq in nove mesi, nell’arco di tempo cioè che è durata l’operazione della liberazione. Molti gli scatti che sono stati pubblicati sul Time, ma questa volta anche in Italia su La Repubblica, Corriere della Sera, Internazionale e Il Manifesto. Alcuni circuiti televisivi, a partire da Al Jazeera, hanno confezionato servizi utilizzato le mie foto. Lo stesso è accaduto anche in molte altre nazioni europee».

Ma il meglio doveva ancora arrivare..
«Nel marzo scorso, sono stato insieme al corrispondente del Time a Mosul. Dieci giorni, lui scriveva e io scattavo foto. Uno di questi scatti è stato scelto per la mia prima copertina. Ne è arrivata una seconda, a seguito del lavoro a Raqqa in Siria».

Non ama parlarne per modestia, ma oltre alle copertine, fioccano premi e riconoscimenti per Emanuele Satolli: Premio Ponchielli assegnato dall’associazione foto editor nazionali che scelgono un lavoro all’anno da premiare. A febbraio ci sarà una mostra a Milano con il lavoro di Mosul premiato; ha vinto la sezione Short Story Award del Festival della Fotografia Etica di Lodi; Una foto relativa a Mosul è stata anche premiata con il Poyi, ambitissimo riconoscimento negli Usa.

A Fabriano, torna?
«Vengo spesso a trovare la mia famiglia non intendo spezzare il legame con la mia terra. Sono sempre contento di tornare ogni due/tre mesi, soprattutto a San Michele, quando inizia la primavera o l’autunno, non ho trovato da nessun’altra parte quei colori e quegli odori».

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