Benessere

L’infarto non è cosa da uomini

Tra le prime cause di morte in Italia, colpisce, contrariamente a quanto si pensa, in percentuali simili entrambi i sessi. Come si riconosce e come si deve intervenire?

A grandi linee tutti possono dire di sapere cos’è un infarto, ma in pochi sanno cosa fare nel momento in cui accade. E soprattutto, non è vero che è “una cosa da uomini”, perché anche le donne ne sono soggette con percentuali simili. L’infarto è tra le prime cause di morte in Italia con 75.098 casi, seguito dalle malattie cerebrovascolari con 61.255 casi e altre malattie del cuore con 48.384 decessi (fonte ISTAT 2012). In Italia su 120.000 casi di infarto (fonte ANMCO) 30.000 muoiono per complicanze e 90.000 sono i ricoverati in ospedale, il 60% in Unità di Terapia Intensiva Coronarica e il 40% in altri reparti. Tra questi numeri le cause possono rilevarsi nello stress, soprattutto se prodotto di una vita frenetica con atteggiamenti protratti di impazienza, eccessiva competitività, ostilità verso l’ambiente sociale, lavorativo e familiare. Per saperne di più abbiamo intervistato il cardiologo, dottor Cesare Boria dirigente medico U.O. di Cardiologia Asur Marche Area Vasta 2 Jesi.

Cos’è l’infarto?
«Infarto è il termine tecnico usato per indicare necrosi di un tessuto in conseguenza ad una brusca interruzione del flusso sanguigno arterioso dovuto a occlusione o rottura di una arteria coronarica.
La necrosi è di fatto la morte del tessuto cellulare miocardico a valle dell’ostruzione del vaso interessato dall’infarto o di una parte di esso che poi dipende dal fattore tempo.
Quello che si verifica più di frequente è l’infarto del miocardio».

Si confonde ischemia da infarto: che differenza c’è?
«Una differenza fondamentale. L’infarto è un’interruzione totale del flusso del sangue al cuore, i cui sintomi durano più di 15 minuti, non scompaiono con il riposo o con i farmaci (con la nitroglicerina sono solo alleviati) ed una parte del muscolo cardiaco incomincia a morire. È, quindi, una condizione stabile ed irreversibile. L’ischemia invece è transitoria e reversibile: consiste in una temporanea interruzione del flusso di sangue ossigenato al cuore; i sintomi durano pochi minuti e si possono alleviare con il riposo o con i farmaci. Ciò che determina il punto di passaggio fra ischemia ed infarto è la durata dell’assenza di flusso; infatti, il muscolo cardiaco riesce a tollerare l’assenza di irrorazione per un tempo limitato (meno di 30 minuti), al di là del quale comincia ad andare in necrosi, a morire».

Dottor Cesare Boria

Come si può prevenire?
«Individuando le cause e andando ad agire su quelli che sono i fattori correggibili. Nel 98% dei casi l’aterosclerosi è la causa principale di infarto miocardico, mentre altre cause eccezionali possono essere embolie e anomalie congenite. Fattori non modificabili sono: età, precedenti familiari di infarti, sesso. Fattori modificabili: dismetabolismo lipidico, ipertensione, diabete, fumo, stress, eccesso di peso corporeo, sedentarietà, obesità. Uso di sostanze tossiche. Altri elementi che lo causano possono essere sforzi, emozioni, interventi chirurgici e gravi emorragie».

Quali sono i sintomi?
«Il dolore è il sintomo con cui l’infarto si manifesta più frequentemente al suo esordio; è presente nell’85% dei casi e ha le caratteristiche tipiche del dolore anginoso: più o meno improvviso, intenso, oppressivo e prolungato localizzato al centro del torace e/o nella regione sopraombelicale che spesso si irradia al braccio sinistro, meno frequentemente a collo e mandibola. Il dolore è intenso e prolungato, spesso accompagnato da irrequietezza (talora angosciosa), sudorazione fredda, astenia, nausea, più raramente vomito e dispnea. La durata del dolore di solito è superiore a 20-30 minuti. Può essere complicato da aritmie, tosse insistente con secrezione rosea, stanchezza e sensazione d’ansia inspiegabile. In genere, la pressione cala progressivamente sino a raggiungere il minimo nel corso della prima settimana: a volte, la brusca ipotensione può portare allo shock cardiogeno. Spesso a questo quadro clinico si accompagna la febbre nelle prime 24 ore. Altri fenomeni (leucocitosi, incremento della VES) sono dovuti alla necrosi del miocardio e talvolta sincope. Nei casi più gravi la morte è improvvisa e si verifica entro breve tempo dall’insorgenza dei sintomi. La morbilità e mortalità dell’infarto sono da imputare alle aritmie ed alla perdita di funzione di pompa che ne derivano».

I sintomi sono uguali per tutti?
«Nel 30% dei casi, specie nei soggetti di una certa età, ed in quelli con diabete mellito, l’infarto si manifesta con sintomi diversi da quelli classici: il dolore può mancare del tutto od essere sostituito da una vaga sensazione di peso o di fastidio od essere localizzato alla bocca dello stomaco, inducendo a pensare a sintomi di indigestione; ci può essere solo debolezza generale o facile stancabilità con affanno di respiro; i sintomi infine possono essere così lievi da passare inosservati, per cui il paziente impara di aver avuto un infarto solo in un secondo tempo, dopo esecuzione di un elettrocardiogramma».

Come si fa per non sottovalutare i sintomi e confonderli per sintomi di altro?
«Innanzitutto non trascurare i sintomi sopra descritti, chiamare il proprio medico di base per avere magari un ECG rapido e visita cardiologica subito. Eventualmente recarsi o autonomamente o con 118 al Pronto Soccorso dove espleteranno poi gli accertamenti per la corretta diagnosi».

È prevedibile? Se sì, in che modo?
«Talvolta è prevedibile, mentre nella stragrande maggioranza dei casi no, soprattutto nei casi dei diabetici dove le componenti nervose sono ridotte per cui il paziente avverte meno dolore».

Si può intervenire in tempo?
«Certo! Basta solo essere lucidi e freddi nel non incorrere in qualche errore di valutazione. Ogni sintomo che segnali l’inizio di un infarto impone l’immediata consultazione del medico. Se il medico non è rintracciabile, chiamare un’ambulanza e raggiungere immediatamente il Pronto Soccorso dell’ospedale più vicino. Quando si chiama il 118 per un’altra persona è bene controllare e riferire come cambiano i sintomi e fare attenzione alle istruzioni telefoniche per intervenire subito senza remore e/o pensando a ripercussioni medico-legali in quanto quella persona rischia la vita e/o l’integrità psicofisica se non trattata in tempo congruo ed entro 4-5 minuti da arresto cardiaco.
Se si è in grado di riconoscere i sintomi si potrà essere in grado di salvare la vita a se stessi o agli altri. Se invece non si riconoscono i sintomi o si attribuiscono ad un altro disturbo come l’indigestione, il trattamento dell’infarto arriverà troppo tardi. Purtroppo, in una buona percentuale di casi, sia l’ischemia che l’infarto possono non accompagnarsi a dolore: condizioni queste rispettivamente definite ischemia silente ed infarto silente».

Se accade mentre si è da soli, cosa fare?
«Chiamare un vicino o parente e successivamente 118 medicalizzato o altro mezzo di trasporto rapido e sicuro e mettersi seduti nella posizione di sicurezza (seduto con tronco leggermente inclinato verso l’esterno), espandere il torace e valutare se effettivamente mancano il respiro e/o battito».

Chi ha avuto un infarto una volta, come si deve comportare dopo?
«Il soggetto colpito, per quanto la lesione evolva benignamente, può restare compromesso ed è sempre un coronaropatico. Oltre alla terapia, quindi, ci si deve porre il problema della prevenzione, che consiste nel controllo di quei soggetti che per varie ragioni possono essere i candidati più probabili all’infarto. Adeguate regole di vita e il controllo di condizioni predisponenti quali l’ipertensione, il diabete, l’obesità e i disturbi del metabolismo lipidico, sono in definitiva il mezzo più efficace per combattere l’infarto miocardico. Nel periodo che segue l’infarto il paziente deve modificare il proprio stile di vita, eliminando il fumo e assumendo una dieta corretta. Il recupero di una qualità accettabile della vita dipende dalla tempestività dell’intervento medico e dalla volontà del paziente di abbandonare stili di vita dannosi. L’aspetto preventivo rappresenta un capitolo molto importante nel quadro delle patologie cardio-circolatorie. Infatti è stato ormai accertato da numerosi studi e ricerche che i fattori di rischio sono le condizioni sulle quali si può agire in modo efficace. Per cui è consigliabile: smettere di fumare, mantenere il peso ideale, alimentarsi con cibi poveri di grassi animali, praticare un esercizio fisico regolare e senza eccessi, mantenere a livelli normali la pressione arteriosa, il colesterolo e la glicemia».

Il paziente deve smettere completamente di fumare?
«Sì! Chi riprende a fumare dopo un infarto ha un rischio raddoppiato di andare incontro ad un nuovo infarto. Al contrario, smettendo di fumare il rischio si riduce del 50% dopo un anno, aumentando quindi l’aspettativa di vita».

La macchina potrà essere guidata tranquillamente?
«Il paziente potrà riprendere a guidare gradualmente. Nelle prime settimane dopo l’infarto sono da evitare lunghe percorrenze. Evitare di mettersi in marcia nelle ore particolarmente trafficate e calde».

Quando potrà riprendere a lavorare?
«Più di due terzi dei pazienti che hanno avuto un infarto possono riprendere la propria attività lavorativa. Questa ripresa dipende principalmente da due fattori: quanto esteso è stato l’infarto e che tipo di impegno richiede l’attività lavorativa. Bisogna imparare ad organizzare le proprie attività per meglio controllare le condizioni “stressanti”: programmare gli impegni, stabilire le priorità, ritagliarsi momenti di riposo. In caso di attività lavorative che richiedono sforzi fisici intensi è consigliabile prendere in considerazione la possibilità di cambiare la tipologia del lavoro con uno meno “pesante” da un punto di vista fisico».

Quali sono le visite e gli esami da fare come prevenzione?
«Visita cardiologica, esame delle urine, esame del sangue, elettrocardiogramma. Chi è stato già colpito da un evento cardiovascolare dovrebbe fare una visita dal proprio cardiologo di fiducia ogni 6 o 12 mesi. Controlli specifici, se segnalati dal medico, sono: prova da sforzo, holter, ecocardiogramma, scintigrafia miocardica, coronarografia».

Di solito quali sono le donne più soggette?
«Il fattore stress, le tensioni emotive esasperate (familiari, lavorative, avanzamenti di carriera) e l’aumentare del fumo e sostanze “tossiche per l’organismo” giocano un ruolo estremamente negativo sulle patologie cardiache. Negli ultimi anni sono a rischio anche le donne in “fascia considerata protetta” tra i 20-40 anni».

Si dice spesso ad una persona che fa tante cose, che non ha tempo libero, che è ansiosa “se continui così prima o poi ti prende un infarto!”. Cosa c’è di vero in questa frase popolare?
«La saggezza popolare ha sempre un fondo di verità e i numeri e la realtà clinica poi ce lo dicono e confermano. Stress e cuore non possono andare d’amore e d’accordo e a braccetto insieme. Bisogna modulare il proprio stile di vita e renderlo meno frenetico possibile. Scientificamente lo stress induce nell’organismo delle risposte neuroendocrine e di infiammazione delle pareti vasali (coronarie) che possono accelerare e determinare eventi critici cardiologici con pericolosità e il rischio di rottura delle placche formate o l’apposizione di materiale trombotico all’interno del vaso che possono portare alla malattia cardiaca».

Agnese Testadiferro

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