Attualità

Glifosato e sicurezza alimentare: le Marche tra le regioni più green d’Europa

Il caso della Monsanto ha fatto esplodere a livello mondiale la questione del glifosato. Ecco cosa dice la legislatura italiana in merito, come si comporta la nostra regione e come leggere le etichette per essere sicuri di acquistare prodotti made in Italy

Agricoltura chimica

ANCONA – Il caso della Monsanto ha fatto esplodere a livello mondiale la questione del glifosato, riaccendendo i riflettori su questo composto chimico presente nei pesticidi largamente utilizzati in agricoltura, e quindi anche in alcuni cibi. La multinazionale di biotecnologie agrarie, è stata condannata a pagare 289 milioni di dollari di risarcimento all’uomo che l’ha denunciata, perché un suo prodotto usato come erbicida avrebbe contribuito a farlo ammalare di un tumore rivelatosi poi terminale. Secondo l’uomo la Monsanto non avrebbe adeguatamente avvertito sui rischi nell’utilizzo del prodotto contenente glifosato.

Un composto, che viene impiegato anche prima della semina come trattamento essiccante su cereali e semi oleosi per accelerarne e uniformarne la maturazione. Per questo motivo residui di glifosato vengono spesso rilevati in ortaggi, cereali, legumi e nei loro prodotti trasformati, come ad esempio nella pasta. Una sostanza che l’AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) annovera tra i “probabili cancerogeni”.

LA NORMATIVA IN ITALIA

Dal punto di vista legislativo l’Italia ha norme piuttosto restrittive, riguardo all’utilizzo del glifosato, e le Marche, in particolare, sono una delle regioni con maggiore percentuale di ettari coltivati a biologico: oltre 78mila ettari e 2.638 operatori.

«L’Italia è uno dei Paesi europei ad aver adottato una delle posizioni più prudenziali sul glifosato –  spiega Francesca Raffaelli, Biologa nutrizionista PhD, Presidente Biomedfood S.r.l. Spinoff Università Politecnica delle Marche –  l’uso di questo composto chimico è vietato per legge  già dal 2016, nelle aree frequentate dalla popolazione quali parchi, giardini, campi sportivi, e aree ricreative, cortili e aree verdi all’interno di plessi scolastici, aree gioco per bambini e aree adiacenti alle strutture sanitarie. Nell’agricoltura l’impiego del glifosato è proibito durante il raccolto e la trebbiatura, ovvero quando i prodotti della terra sono ormai prossimi a finire nelle nostre tavole e in quei terreni ad uso non agricolo, ai fini della protezione delle acque sotterranee, nei quali la sostanza potrebbe facilmente penetrare nel sottosuolo contaminandolo».

Lo scorso novembre la Commissione Europea ha prorogato di altri 5 anni l’autorizzazione al commercio degli erbicidi contenenti glifosato, nonostante il voto contrario dell’Italia e di altri 9 Paesi. «Purtroppo il glifosato è stato utilizzato anche nel nostro Paese sino al 2016 – sottolinea la Raffaelli – pertanto è facile trovarlo in quantità infinitesimali in molti alimenti, anche ottenuti con il 100% di materie prime italiane. Un’alternativa all’utilizzo del glifosato è l’agricoltura biologica che vieta l’utilizzo di pesticidi ed erbicidi, in generale di composti chimici di sintesi. Inoltre, le aziende che producono biologico devono sottostare a limiti molto più stringenti rispetto a quelli di legge, per mantenere la loro certificazione Bio, e devono far sì che le sostanze vietate non siano presenti all’interno degli alimenti. Però bisogna tenere presente che il glifosato, che è molto diffuso nell’ambiente, potrebbe essere comunque presente in tracce anche negli alimenti biologici, a causa di contaminazioni, allagamenti o trasportato ad esempio, con acque di falda».

Dott.ssa FRANCESCA RAFFAELLI, PhD, Biologa Nutrizionista presidente di Biomedfood s.r.l. – Spinoff Università Politecnica delle Marche www.biomedfood.com

Francesca Raffaelli, Biologa Nutrizionista: «È bene prediligere, fin dove possibile, i prodotti locali».

«La nostra regione è ricchissima di piccoli e medi produttori, che gestiscono e controllano le loro coltivazioni e i loro prodotti – precisa la dottoressa Raffaelli –  E su questo fronte è di grande aiuto Campagna Amica della Coldiretti, che favorisce i prodotti a km 0 e il rapporto diretto tra agricoltori e consumatori attraverso mercati e iniziative. Inoltre, ad oggi sono sempre più le aziende locali, anche piccole, che attraverso i social pubblicizzano i loro prodotti e si sono organizzate per consegnarli direttamente a casa del consumatore, oppure i gruppi di acquisto solidale (GAS). Vale la pena di dedicare un po’ di tempo all’acquisto e alla scoperta dei prodotti alimentari, di conoscere le aziende del nostro territorio, ed entrare in contatto i produttori e le loro tradizioni».

Tommaso Di Sante presidente Coldiretti Marche

Tommaso Di Sante, Coldiretti Marche: «Occorre fare di più per tutelare gli agricoltori italiani contro lo strapotere delle multinazionali».

«La questione glifosato è preoccupante e non si ferma al solo utilizzo di un diserbante potenzialmente rischioso per la salute umana – spiega il presidente Coldiretti Marche Tommaso Di Sante – Il vero tema è la concentrazione di sementi e prodotti chimici nelle mani di pochi a livello mondiale. Non dobbiamo dimenticare che ad oggi il 63% dei semi e il 75% degli agrofarmaci è in mano a tre multinazionali che hanno la possibilità di brevettare il cibo, imporre i loro prodotti chimici e, in pratica, controllare il mercato a danno dei piccoli produttori che fanno qualità sul territorio. Bene fa l’Italia a proibire l’utilizzo di glifosato in campagna di preraccolta e bene ha fatto il Governo nell’annunciare il no al Ceta che riempirebbe il mercato italiano di grano duro dal Canada dove questo prodotto viene utilizzato su vasta scala. Occorre però fare di più per tutelare gli agricoltori italiani contro lo strapotere delle multinazionali. Nelle Marche, come nel resto d’Italia, ci stiamo orientando con contratti di filiera: parliamo di accordi tra produttori, consorzi e trasformatori che assicurano ai primi un compenso adeguato che tenga conto dei costi di produzione e al riparo dalle speculazioni finanziarie internazionali. Il tutto, naturalmente, puntando su quella qualità che solo il nostro Made in Italy è in grado di poter assicurare».

COME LEGGERE LE ETICHETTE

Dalla metà del febbraio scorso, è scattato l’obbligo di indicare nelle etichette la provenienza della materia prima per il riso e la pasta, secondo quanto stabilito dal Ministero delle politiche Agricole Alimentari e Forestali. I consumatori hanno così la possibilità di conoscere in modo chiaro il luogo di coltivazione del grano e del riso che stanno acquistando, e di scegliere un prodotto 100% made in Italy. Grazie alle indicazioni riportate sulle confezioni, possono evitare di acquistare quei prodotti realizzati con materie prime di esportazione dove il glifosato viene liberamente utilizzato.

In pratica sulle etichette delle confezioni di PASTA SECCA prodotte in Italia devono essere obbligatoriamente indicate le seguenti diciture:

  1.  Paese di coltivazione del grano: nome del Paese nel quale il grano viene coltivato;
  2.  Paese di molitura: nome del Paese in cui il grano è stato macinato.Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE;
  3.  se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE”.

Sull’etichetta delle confezioni di RISO made in Italy dovranno essere indicati:

  1.  “Paese di coltivazione del riso”;
  2.  “Paese di lavorazione”;
  3.  “Paese di confezionamento”.Se le tre fasi avvengono nello stesso Paese è possibile utilizzare la dicitura “Origine del riso: Italia”. Anche per il riso, se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE.

Ti potrebbero interessare