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Delitto di Cupramontana, la parola alla psicoterapeuta

Una morte intollerabile quella di Hamid, il bambino di 5 anni strangolato dal padre. Le indagini sono in corso e per stabilire le cause del gesto efferato servirà del tempo. Il punto con Alessia Tombesi

I carabinieri sul luogo del delitto a Cupramontana (foto Binci)

Disturbi psichiatrici e situazione familiare disagiata potrebbero essere al centro dell’omicidio del piccolo Hamid, il bambino di 5 anni ucciso dal padre giovedì pomeriggio a Cupramontana. Secondo la confessione del genitore, il padre Besart Imeri di 26 anni, lo avrebbe ucciso in seguito ad un banale capriccio in auto e solo successivamente avrebbe portato il cadavere in casa, forse nel vano tentativo di soccorrerlo. Una situazione delicata quella della famiglia del piccolo macedone ucciso: il padre, in cura per problemi psichiatrici,  era da 5 mesi senza lavoro, mentre la mamma era in attesa del terzo figlio. Una famiglia arrivata in Italia anche per trovare la speranza di un lavoro e che invece si ritrova messa alle strette dalla disoccupazione. Cupramontana è stata nuovamente teatro di un tragico fatto di cronaca, dopo il caso della 19enne Mariya Iskra suicidatasi lo scorso ottobre (Leggi l’articolo).

Un delitto quello dell’infanticidio che ogni anno nel mondo causa mediamente la morte di oltre 19 mila bambini tra 0 e 4 anni di età, secondo quanto sostengono i dati di uno studio condotto dall’Unicef e intitolato “Hidden in plain sight”. Un quadro allarmante che anche in Italia ha fatto registrare delitti che hanno scosso l’opinione pubblica, basta pensare al delitto di Cogne o a quello del piccolo Loris Stival, solo per citarne alcuni. Nella maggior parte dei casi sono le madri a compiere il gesto orribile, anche se negli ultimi anni è in crescita il numero dei padri coinvolti negli omicidi dei figli.

Alessia Tombesi, Psicologa e Psicoterapeuta

Nel caso del piccolo Hamid alcuni hanno ipotizzato una depressione del padre associata alla perdita del lavoro, anche se non c’è ancora alcuna conferma ufficiale. «Allo stato attuale si possono fare solo ipotesi e congetture in attesa che le indagini definiscano con più chiarezza la situazione – spiega Alessia Tombesi, psicoterapeuta sistemico-relazionale ad indirizzo familiare – bisognerebbe conoscere con precisione il quadro psichiatrico del padre di Hamid, perché una eventuale depressione derivante dalla perdita del lavoro da sola non può averlo portato a compiere un gesto simile. Il depresso solitamente tende a fare del male a se stesso, può arrivare al suicidio per liberarsi dalla condizione di sofferenza in cui vive, ma generalmente non fa del male agli altri».

Una depressione del padre di Hamid non sembrerebbe dunque l’unica causa alla base dell’omicidio del piccolo, come invece è stata l’elemento scatenante nel caso del suicidio di Mariya. Questa volta molti fattori potrebbero aver contribuito insieme a questo delitto. Un gesto tragico «alla cui base potrebbe esserci un disturbo di personalità molto grave, tale da spiegare l’aggressività rivolta verso il bambino, che per di più era suo figlio – precisa la psicoterapeuta – la perdita del lavoro può aver aggravato un quadro sintomatologico importante, sul quale si possono essere inseriti altri fattori, quali la preoccupazione per l’attesa di un altro figlio. Non è ancora chiaro se l’omicidio sia avvenuto in seguito ad un raptus o se sia stato premeditato. Il padre probabilmente viveva in uno stato di malessere anche in ambito familiare, lui stesso potrebbe essere stato vittima di abusi o maltrattamenti da piccolo. In ogni caso si tratta di supposizioni per spiegare un gesto estremo al quale hanno contribuito sicuramente più fattori. Si tratta di capire se questo uomo sia stato in grado di prendersi cura del figlio a causa della sua patologia, disturbo che potrebbe averlo portato a non essere in grado di gestire e reggere il capriccio di un bambino di 5 anni».

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