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Lutto a Belvedere Ostrense per Giuseppe Branda

Allo storico fornaio e alla sua famiglia il cordoglio di un intero paese, sindaco in testa: «Ciao, Presidentissimo!»

Giuseppe Branda
Giuseppe Branda

BELVEDERE OSTRENSE – Si sono svolti lunedì pomeriggio nella chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo i funerali di Giuseppe Branda, lo storico fornaio del paese scomparso all’età di 85 anni. In tanti hanno voluto dare l’ultimo saluto a uno dei cittadini più conosciuti e amati.

Giuseppe Branda se n’è andato dopo aver lavorato per oltre mezzo secolo nel forno di via Vannini, in un palazzo del ‘600 dove l’attività fu avviata nel 1912 dal nonno. Proprio per la sua carriera era stato insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro, mentre dalla Camera di Commercio aveva ricevuto quello di Maestro del Commercio.

L’attività era poi andata avanti di generazione in generazione e attualmente è gestita dal figlio di Giuseppe Branda, Stefano. Proprio a lui, all’altra figlia Annalisa e alla moglie Rita sono arrivati numerosi messaggi di cordoglio, tra cui l’abbraccio del sindaco di Belvedere Ostrense, Riccardo Piccioni.

«Sarà pure retorico scriverlo, ma un pezzo della storia del nostro paese se n’è andato veramente via, per sempre, con la scomparsa del Cavaliere Giuseppe Branda, per noi tutti Peppe. E qualcosa dei cavalieri medievali ce lo aveva davvero il “Presidentissimo”… Così lo salutavo sempre, anche se recentemente il male che lo aveva colpito gli impediva di uscire di casa e ne aveva pure minato inesorabilmente la lucidità. Accanto alla conduzione della meritoria attività del Panificio Branda, Peppe era stato in più occasioni Presidente della Belvederese, la squadra di calcio del nostro paese, e sempre nelle circostanze più difficili, quando nessuno voleva arrischiarsi a prendere in mano una squadra di calcio senza risorse economiche. Peppe, allora, si caricava sul groppone il peso della responsabilità, ci metteva la faccia e pure i soldi e si andava avanti, perché il calcio per questi uomini nati prima della Seconda Guerra mondiale era qualcosa di importante e di serio. Come importantissimo per lui fu il suo tifo quasi esistenziale per il Toro. Perché per i ragazzi usciti dal conflitto nel 1945, tifare per Il Grande Torino, la squadra degli invincibili, significava credere in qualcosa di concreto che dava speranza di successo e fiducia nel futuro, la certezza di farcela davvero a ricostruire un Paese uscito martoriato dalle macerie della dittatura e della guerra.

Fino allo schianto di quell’aereo a Superga, che aveva sì cancellato la squadra dei campioni, ma allo stesso tempo ne aveva decretato la nascita di un mito indistruttibile, che i tanti Peppe sparsi per l’Italia hanno sempre coltivato con amore e rispetto e con una devozione quasi religiosa. Ora dopo tanti decenni di attesa, Peppe potrà riabbracciare Valentino Mazzola, Bacigalupo e tutti gli altri campioni che sicuramente lo avranno accolto col rispetto che merita un uomo mite, laborioso e animato da una passione infinita. Quella stessa passione che ha portato Rita, Stefano e Annalisa a cucirgli sull’orlo della giacca la spilla del Torino Calcio. Quanto ne sarebbe stato contento e felice il Presidentissimo»!

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