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Arca, progetto Garbini-Fileni-Loccioni per rigenerare il suolo

Un'abbazia benedettina dell'XI secolo, Sant'Urbano ad Apiro, si trasforma in una piattaforma di innovazione per sperimentare buone pratiche che permettano di rigenerare il suolo. Parte dalle Marche un modello di economia circolare che trasforma agricoltori, allevatori e consumatori in 'rigeneratori', per difendere «il bene più prezioso, l'integrità del terreno, perché senza un suolo di qualità non avremo un cibo di qualità»

Enrico Loccioni, Bruno Garbini e Giovanni Fileni progetto Arca
Enrico Loccioni, Bruno Garbini e Giovanni Fileni soci del progetto Arca

Tra balle di fieno e profumo di trebbiatura, sopra il palcoscenico allestito a fianco dell’Abbazia benedettina di Sant’Urbano ad Apiro per la presentazione del progetto Arca (Agricoltura per la Rigenerazione Controllata dell’Ambiente), Bruno Garbini disegna con la mano un largo gesto indicando al pubblico la quinta naturale delle colline distese lungo la Valle di San Clemente. Dietro di lui è una distesa di campi, in lontananza si ascolta il rumore di una mietitrebbia in azione su un grande campo di grano. Ma è due appezzamenti più su che l’ex produttore di carni bianche richiama l’attenzione degli astanti, un campo verde, rugoso, solcato da fratture che lentamente ed incessantemente collassano verso il fondovalle.

Bruno Garbini
Bruno Garbini

«Cos’è Arca? – esordisce Garbini, che del progetto è la mente – Vedete quel campo? Sta franando. E sapete perché? Lo chiamano dissesto idrogeologico, ma prima di arrivare a tale degrado c’è la storia di un terreno sfruttato per decenni da tecniche di coltivazione che hanno distrutto il materiale organico del suolo. Il terreno è una cosa poco nota ma di grande fascino, in un centimetro cubo di materiale convivono circa 3 miliardi di organismi complessi, dai batteri ai lombrichi, ed è tutta questa vita che fa crescere le piante. È questo il patrimonio immenso che con questo progetto cerchiamo di rigenerare. Sono figlio di contadini, nato sopra una stalla, mi ricordo bene gli sforzi che mio nonno adoperava affinché la fertilità del terreno potesse essere protetta per il benessere della famiglia, dei figli, dei nipoti: le lavorazioni erano poco profonde, si concimava con materiale organico, l’erba medica rigenerava i terreni, le rotazioni colturali erano la norma. Il sistema era perfetto, oggi si è sfasciato tutto. Ma possiamo invertire la marcia».

Al fianco di Garbini, sul palcoscenico allestito in Val Clemente, sono gli altri due soci di Arca, due imprenditori marchigiani di primo piano quali Giovanni Fileni ed Enrico Loccioni.

Anna Casini, vicepresidente della Regione Marche

«I tre tenori», dice di loro la vicepresidente regionale Anna Casini ricordando alla platea il momento in cui varcarono la soglia dell’assessorato per presentare il progetto: «Mi parlarono di filiere, di economia circolare, di conservazione del terreno. Abbiamo iniziato a confrontarci e a sperimentare». «Tre matti», chiosa scherzando una voce che si alza da una platea ad alta concentrazione di visionari: agricoltori e allevatori biologici, operatori green, ricercatori universitari, professionisti del basso impatto ambientale. Tra loro anche un gruppo di 16enni in alternanza scuola lavoro presso Loccioni Group, che gridano con orgoglio «siamo noi la R-generation»: sono gli entusiasti testimonial del progetto che vuole restituire ai giovani cibo sano, consumi etici, opportunità di occupazione in agricoltura e nella più avanzata ricerca collegata alla sostenibilità ambientale.

Gli studenti in alternanza scuola lavoro presso Loccioni Group

Tante le persone che ieri sera (3 luglio) hanno assistito all’evento che si è tenuto in quello che è il cuore del progetto Arca, l’Abbazia di Sant’Urbano le cui origini risalgono a prima dell’anno Mille ed oggi trasformata in una piattaforma di innovazione per sperimentare buone pratiche che permettano di rigenerare il suolo. Parte da qui un modello di economia circolare che trasforma agricoltori, allevatori e consumatori in ‘rigeneratori’, e che «può essere esportato in tutta Italia», per difendere «il bene più prezioso, l’integrità del terreno, perché senza un suolo di qualità non avremo un cibo di qualità», ha spiegato Alessandro Apolito del Ministero dell’Agricoltura.

«Il suolo è un patrimonio dimenticato, continuiamo a comperare prodotti al supermercato senza interrogarci sulla qualità e sull’origine. Ma sono l’aria, il terreno, il buon cibo che fanno la qualità della vita», spiega Enrico Loccioni, a capo della Loccioni Group. «Bisogna sposare la cultura del mezzadro con la cultura del monaco e dell’economia del convento. Ora restituiamo questi valori alla terra applicando tecnologie, innovazione, efficienza energetica e intelligenza delle reti».

Per Giovanni Fileni, fondatore del Gruppo omonimo, «allevare polli nelle Marche, in particolare in maniera biologica, è un atto agricolo, un modo per contribuire allo sviluppo e al rispetto del territorio in cui vivo. In Arca, mettiamo la nostra filiera biologica e le nostre competenze al servizio della nostra terra». Per il figlio Massimo Fileni, «Arca rappresenta il completamento della scelta del gruppo Fileni, fatta 18 anni fa, di puntare sul biologico, facendo attenzione all’impatto sull’ambiente, sul benessere degli animali, sulla salute dei consumatori. La prima sperimentazione delle tecniche di Arca per la rigenerazione del terreno è partita in alcuni terreni di nostra proprietà e di Loccioni, stiamo lavorando con rotazioni colturali, coltivazioni di copertura Cover Cropt, consociazioni grano-leguminose,tecniche per evitare dilavamenti e arricchire la fertilità. Il prodotto, buono e bio, diventa per ora mangime per i polli che alleviamo».

Arca è nato a Serra San Quirico nell’ottobre del 1988. Mise insieme le idee dell’imprenditore Bruno Garbini (al tempo a capo dell’omonimo stabilimento di Casteplanio (poi ceduto ad Arena, oggi in Fileni), del giornalista e divulgatore Mino Damato, dello scenografo Carlo Cesarini e del sindaco Carlo Maria Latini. Il progetto poggiava su concetti ed obiettivi forse troppo rivoluzionari in un’epoca in cui la sostenibilità ambientale non era un tema centrale, e in cui la capacità di produzione e consumo sembrava senza limiti. Fu così che, dopo alcune sperimentazioni, Arca si mise in stand-by per trent’anni. Riparte oggi con Garbini, Loccioni e Fileni uniti in una società benefit che, come previsto dalla legge, persegue non solo la divisione degli utili ma anche il beneficio collettivo e la responsabilità ambientale.

Il progetto si propone di diffondere pratiche di coltivazione di tipo bioconservativo, per permettere una rigenerazione dei suoli marchigiani, creare filiere alimentari e zootecniche di qualità certificata, curare il dissesto idrogeologico. L’ispirazione deriva da quanto avveniva nella tradizionale casa colonica marchigiana prima dell’industrializzazione dell’agricoltura, un micro circolo di riutilizzo che aveva come scopo quello di preservare la fertilità del terreno per le generazioni future. Tra le buone pratiche promosse da Arca alcune sono retaggio della coltura benedettina e mezzadrile praticata anticamente nelle Marche (rotazioni colturali, consociazioni e sovesci, solchi acquai trasversali, concimazioni organiche), unite a ricerca, digitalizzazione, commercializzazione moderna.
Ad oggi hanno aderito ad Arca 13 produttori e trasformatori delle tre Valli dell’Esino, del Nevola e del Misa, che operano su una superficie di 1.980 ettari certificati bio. C’è un comitato scientifico multidisciplinare al lavoro con tre università (Politecnica delle Marche, Udine e il Rodale Institute of Pennsylvania). Ma sono in tanti i produttori che vorrebbero aderire. Lo dice una ricerca del Consorzio AASTER, i cui risultati sono stati illustrati ieri dal professor Aldo Bonomi: «Partendo da un’abbazia stiamo ridisegnando il capitalismo, i tempi e le opportunità per un grande cambiamento sono ora alla portata», ha detto con entusiasmo il ricercatore.

 

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